mercoledì 23 dicembre 2009

Auguri!/2



La canzone è Die di Iron&Wine (e che altro titolo avrei potuto scegliere?!), se non riuscite a vedere le scritte ve lo carico su YouTube.

Buon Natale, pulzelle d'Orleans!

♫Questa NON è una classifica♫

Che palle, finisce l'anno ed è tempo di bilanci.
Di me non voglio parlare perché non sto facendo nulla, ho l'influenza, nevica, tutto è fermo, Spaghetti Girl domani parte e non la vedo per un mese, fa freddo, è Natale, ti piace o' presep'?
I bilanci li fanno siti autorevolissimi come Ondarock e coso...lì...Pitchfork!, con mega classificone stilate da 45 critici illustrissimi chiamati per l'occasione a stabilire un verdetto

"qual'è il disco dell'anno?"

Ma che cavolo, chissenefrega.
Vi parlerò dei dischi che mi hanno colpito quest'anno, alcuni sì sono usciti nel 2009, altri anche 40 anni fa, ma io sono riuscita a scoprirli solo ora, perché sono lenta, pigra e....la sapete già la solfa.
Mi scuso con le mie lettrici veramente lesbiche depresse che si aspettano da me fuochi d'artificio da lesbica depressa quale sono e come piace tanto definirmi: dovranno pazientare qualche giorno e arriverà il mega post triste, cimiteriale, esistenzialistico, toccante e insomma, quelle menate stilose barra seghe mentali un po' post-punk un po' odioilNatale un po' mimancaJennySchecter.
Arriverà, certo che arriverà, piccole palle di pelo pelose, ma ora sopportatemi che parlo della cosa che mi piace di più: la musica.

Vado in ordine alfabetico perché l'iPod è così regolato.

Animal Collective - Merriweather Post Pavillon
Il 19 Gennaio per me era già disco dell'anno. Mi sentivo troppo indierocker indiesnobber indiefucker, travolta dall'aumento inconsulto di scrobbling su Last.fm (avevano superato pure i Beatles!) e dal fenomeno che si era creato intorno a questo disco. Che, per carità, è ganzo, ma è paraculo in un modo mostruoso. Beat molto piacioni, coretti alla Beach Boys, strutture ripetute fino alla nausea. Per un mese, però, non riuscii ad ascoltare altro, quindi qualche merito lo devo avere.
Giudizio: loopooloolà, castellululà.

Baustelle - tutta la discografia
Sono lenta, ve l'ho detto. L'anno scorso Amen m'era piaciuto un sacco, ma alla lunga mi avevano un po' ammorbato. Oddio, il loro mood è perfettamente compatibile con l'ironia caustica di ogni lesbica depressa che si rispetti, ma dopo un po' che ascolti "Vede la fine in metropolitana, nella puttana che le si siede a fianco....", diventi irascibile, disincantata, cinica e sputi sangue misto a Negroni.
Poi. Ad Aprile mi sentivo esattamente così. Irascibile, disincantata, cinica e tachicardica: la voce del Bianconi, tanto per citare qualcuno di immensamente intellettuale, mi curò.
Ora li amo smodatamente e vado in brodo di giuggiole per i loro continui riferimenti a film degli anni '60-'70, per i nascosti omaggi all'Italia che fu, per la secca analisi che compiono dei vizi (molti) e delle virtù (...) del nostro amato paese.
E poi, diciamocelo, Madamoiselle Boyfriend è la canzone lesbica per eccellenza!
Giudizio: per cinefili cinici e provinciali cronici.

Dente - L'amore non è bello
amodente amodente amodente. La prima volta che ho sentito 'sto disco è stato su Rockit e mi so' detta "cavolo, ogni tanto Pastore ha della belle pensate". Che poi Pastore non c'entra nulla, ma pensavo che da nessun'altra parte avrei potuto ascoltare in anteprima il nuovo disco di un cantautore italiano sotto contratto non con una major. E quindi grazie Rockit.
Ma dicevamo: dente. Che lo amo l'ho già scritto all'inizio e quindi, essendo l'amore il sentimento onnicomprensivo per eccellenza, non devo aggiungere niente.
Ma sì, sprechiamole du' parole per il caro Giuseppe Peveri perbrevitàchiamato dente: testi filastroccosi e ironici, melodie che ti entrano in testa subito, scorciatoie creative veramente ricche di arguzia. Probabilità di tomber amoureux: molto alta.
Giudizio: mi fai tornare etero.

Franco Battiato - raccolta dell'86
Eccolo l'immenso intellettuale di cui si parlava prima. Uno dei pochi ascolti che mi ha consigliato mio padre...Certo, siamo a livelli di voli pindarici sintattici e paroloni presi direttamente da Heiddegger, supponenza mai ostentata, ma sempre a rischio di cerebralismo nonsense.
Dadà, merda d'artista, snobberia, me ne sto in disparte, io mi tiro indietro da questa folla impazzita, io denuncio l'imbecillità senza sporcarmi la manica, io mi nutro di gnostica e cago ermeneutica.
Non per tutti. Ma le musiche sono new wave, i bassi sono new wave, l'ironia è new wave.
Giudizio: ti potrebbe piacere se non sopporti i cori russi, la musica finto rock, la new wave italiana, il free jazz punk inglese. Neanche la nera africana.

God Help The Girl - omonimo
Stuart Murdoch è per me come Thom Yorke: qualunque cosa facesse l'ascolterei, scorregge comprese. E quindi posso dirlo ad alta voce come quando si battono le aste...ho consumato questo disco! Del progetto ho già scritto qui quindi non mi dilungherò. Queste sono canzoni pop perfette, suonate come Dio comanda, cantate da voci femminili che, ahimé, non si sentono più, il tutto condito da un'atmosfera anni '60 ricostruita come una scenografia di un musical.
Giudizio: lo canto con mamma, quindi è una garanzia.

Joni Mitchell - Blue
"Non può esistere una lesbica depressa che non abbia ascoltato almeno una volta Blue".
Flashback: settembre 2008. Il caso vuole che mi cada in testa Ladies of the Canyon (precedente a Blue di un anno). "E' un disco dei miei, chissà che palle."
Avevo sempre associato Joni alla sorella di mia madre cornificata dal marito perché non riusciva ad avere figli e mi ero posta un fermo divieto, non ascoltare mai, manco per sbaglio, un disco della Mitchell.
Troppo tardi. Infilo Ladies nel lettore e, cazzo, m'innamoro.
Faccio le polveri con quel disco, scasso le palle a tutti provando a prendere gli acuti (impossibili) e gli accordi (improbabili) tra cui la divina Joni slaloma con assoluta naturalezza.
Piango di notte su "Circle Game".
Poi arriva Aprile col suo carico di amarezza (perché, dovete sapere, aveva proprio ragione Eliot quando diceva che era il mese più crudele! E io potrei non solo testimoniare a suo favore, ma pure portare sul banco degli imputati prove inconfutabili del malessere esistenziale che mi affligge quel mese! Aprile, insomma, se la gioca con Dicembre, mese in cui mi è severamente proibito ascoltare gruppi come

- Joy Division
- The Cure
- Radiohead di In Rainbows disco 2, che mi evoca amari ricordi
- Sweet Beliefs dei Cyann et Ben, perché quello è il disco del gelo nelle ossa e della lametta prossima al taglio
- i Diaframma di Siberia, che già il titolo dice tutto.
- Sigur Ros a piccole dosi, solo con la neve e con le visioni di bimbi felici che sorridono paonazzi
- Philip Glass di Solo Piano di cui parlerò prossimamente abbinato al film da lesbiche depresse e intellettuali per eccellenza che è..........vabbé lo sapete, sennò siete proprio nel blog sbagliato.

...ma stavo dicendo????
Ah, Aprile! E tra l'altro ho lasciato la parentesi aperta per cui....)
Il carico di amarezza la lesbica depressa lo può sublimare o affrontare. Con Blue fai entrambe le cose. Soffri, produci bile, piangi nel letto, ti appropinqui al baratro e intanto concentri tutta la tua amarezza in attività socialmente accettabili (e cosa c'è di meglio che ascoltare un disco?!)
Blue è in sé la piccola enciclopedia dell'esperienze che una giovane donna può avere: stare lontana da casa, provare nostalgia e/o malinconia (blue, appunto), dare in affidamento la propria figlia, vivere la quotidianità con un uomo, anche di passaggio, provare amore e odio, odio e amore, per se stesse, forse, perché non si possono vivere le relazioni dal di fuori, vedendo così i propri sbagli, rendendosi conto dei passi falsi.......e quindi viaggiare con la mente, ma anche fisicamente. Ricordare ogni singola parola di quel dialogo, ogni attimo di quella notte, la sensazione di quel vento, l'odore di quell'albero. Ma ricordare, sempre e comunque.
Perpetuare il rito laico del ricordo come unico appiglio per non scivolare nell'indifferenza e nel vuoto della banalità del tempo ritmico e ossessionato dalla morte. Se io mi ricordo è perché ti ho amato e il tuo viso, la tua voce, ogni tua più piccola sfumatura l'ho fissata nella mia mente.
Dunque ti amo ancora, e vivo di quel ricordo.

I remember that time that you told me, you said
Love is touching souls
Surely you touched mine
Cause part of you pours out of me
In these lines from time to time

Non posso isolare i singoli episodi, tutte le canzoni di questo disco sono vitali.
La triade perfetta è formata dalle ultime: River, A case of you, Last time I saw Richard.
Giudizio: un sasso sul cuore.

Mùm - Sing Along To Songs You Don’t Know
Le cose più belle sono nascoste/1.
Un disco delizioso, solare e diversissimo dai primi dischi (che sì, avevano le gemelle, quelle stesse gemelline presenti sulla copertina di un disco dei Belle&Sebastian). Qui c'è una specie di orchestra. E allora, tacabanda!
Bel concentrato di elettronica pop glitch con mille voci, mille suonini carillon, 'nzomma, s'ha dda sentì!
Giudizio: il fanciullino in noi a volte deve prendere 'na boccata d'aria.

Shannon Wright - Honeybee Girls
Le cose più belle sono nascoste/2.
Con Cat Power e Pj Harvey nelle voci da orgasmo al femminile. Sporca, rauca, terrena, concreta, sofferente la nostra cara Shannon. Ma.
Quest'anno se n'è uscita con un album molto meno claustrofobico e incazzoso che suona geometrico, breve, elettrico e classico allo stesso tempo. C'è poco da fare: quando si ha talento nel comporre musiche che si sposano colle parole, beh, allora sai fare tutto.
Di lei ammiro la raffinata capacità di coniugare una sensazione di inquietudine a un'altra di attesa speranzosa, non che le due cose siano contradditorie. Mi trovo in imbarazzo a descriverla, perché profondamente intima e vicina a me, e per questo pronta ad entrare nel dna di ogni lesbica depressa.
Giudizio: nelle ossa e nelle vene

Soap&Skin - Lovetune for Vacuum
Un'esperienza mistica per ogni elledì. Da ascoltare. Non do manco il giudizio. Per me l'album dell'anno è questo.

Il Teatro degli Orrori - A Sangue Freddo
Ricordo la prima volta che sentii parlare di loro, 2 anni e mezzo fa. Un mio amico mi fece sentire un pezzo che faceva Carrarmatorock. Ma ero ubriaca. Pure lui. Ne discutemmo un sacco, arrivando al punto che "per fare 'sta roba qui devi avere un livello di consapevolezza altissimo".
A tutt'oggi non comprendo quella frase.
Però sono consapevole, io, di avere vissuto 40 minuti di colpo al cuore con il loro ultimo disco. C'è tutto: il recitato da strillone buffone/burlesque o quello sentito alla Carmelo Bene, il rumore che non sembra mai rumore, una struttura perfetta in ogni canzone. Nulla a caso.
Gli Shellac italiani, dicono. Sì, eccchecccazzo, e ancora altro ancora.
Giudizio: più vero della cronaca.

The Clientele - Suburban Light
L'ultimo in ordine di "amore alla prima nota". Nebbia, fumo, riverbero, Velvet Underground e Nick Drake. Da ascoltare di sera su un tetto con una cioccolata fumante guardando le luci spegnersi una ad una. E' pop che fa spirali e che ammalia, che indulge su ritmi lenti e morbidi, che si arrotola e si spiega. Uno yo-yo.


con affetto e con Murcof nelle orecchie...
(domani studio, promesso)

martedì 22 dicembre 2009

Auguri!/1



che belli i miei ragazzi.

venerdì 18 dicembre 2009

The most ordinary name

Il pop
ovvero:
perché gli Smiths non hanno ricevuto il giusto riconoscimento in Italia?




Forse perché sono sempre stati al di fuori del loro tempo.
Negli anni '80 facevano musica tipica dei '60 e per giunta si rifacevano a modelli americani considerati anche un po' kitsch. Ora, nei 2000, il loro linguaggio può risultare tremendamente anacronistico, inconcludente, zupposo. E' come andare a casa della nonna: è una visita che ci tocca, che ci annoia, ma che col tempo si apprezza, che non si dimentica. E' un sapore antico, d'altri tempi.
Per me gli Smiths sono una tappa necessaria, e non solo per capire che il suono di Manchester degli anni '80 ha forgiato Oasis e Blur (quest'ultimi unici a essere, a loro modo, considerati eredi dei nostri), ma anche per conoscere una scrittura eccezionale (beh, ho letto più volte che se ci fosse un Nobel per la musica, andrebbe per i testi a Bob Dylan o a Moz), un sound che guarda indietro, che rielabora, che è estraneo al post-punk inglese degli anni '80, che supera ogni catalogazione.
No, anzi, che può essere solo ricondotto al pop. E' musica di massa, musica popolare, non piegata su se stessa, cerebrale (come possono essere considerati i Radiohead che tanto amo), è pop brillantissimo, forse IL modello a cui si deve guardare.
E' lo scontro tra registri alti (richiami continui alla letteratura) e bassi (ironia, giochi di parole, atteggiamenti kitsch e a volte burleschi) che proietta gli Smiths in un luogo "altro". Un luogo che eccede ogni epoca, che trascende ogni linguaggio musicale, che è apparentemente incollocabile. Eppure. C'è sempre un "eppure" se si parla degli Smiths.
E' questo il dilemma: il non essere collocabili li ha, come ho già detto prima, direttamente dirottati verso una parola - pop, appunto - che abbraccia vari ambiti.
Credo che il paradosso della cultura pop (eleganza e kitsch, alto e basso, vecchio e nuovo) sia lo snodo centrale degli Smiths. E proprio per questo, in una società e in una cultura come la nostra, tipicamente a compartimenti stagni, questo paradosso è difficilmente coglibile ed assimilabile. E' insito invece nella cultura inglese e americanista, credo.

Il pop è uno scherzo, uno sberleffo fatto con estrema serietà. O, al contrario (o proprio per questo), è un messaggio ben chiaro, un avviso mascherato da divertissement. Beh, lo è anche la musica degli Smiths.
Un continuo rivelarsi e nascondersi, una grande burla. O un messaggio in codice. Sta a noi decifrarlo, sta a noi capirne la portata.

giovedì 17 dicembre 2009

She's lost control


clicca sulle immagini per ingrandire

La frase completa era:

"credi agli Ufo?" "Sì, e so che molta gente ci crede"
"credi in Dio?" "Non molto..." (il resto lo sapete già)

venerdì 11 dicembre 2009

Lesbo fesciòn per ragazze anaffettive

L'altro giorno su Facebook m'imbatto in questa pubblicità:
"Lesbian Gifts for Christmas".
Curiosa come una biscia d'acqua, clicco sul link: http://shop.littlemstees.com/

Andateci anche voi prima di leggere qualsiasi mio commento.


Intervallo!


Sta per iniziare una nuova puntata del piccolo manifesto programmatico.
Chi non ha mai desiderato una maglietta per urlare ai 4 venti la propria preferenza sessuale, per la serie "LOUD&PROUD"??!
Il primo anno di università conobbi una ragazza fuori dall'ordinario (e di cui ovviamente non sono più amica, perché perdo le amicizie con la facilità con cui si dimenticano gli ombrelli nella sala d'attesa del medico) con cui partorivo idee a metà strada tra il dadà e il surrealismo.
Ad esempio, durante il cambio aula tutti vanno in bagno. Qui a Biggì (almeno nella mia facoltà) l'80% sono ragazze e ciò crea un intasamento terribile nelle toilette femminili.
Ovviare si può, certo. Andando in quello dei maschi.
Fu così che l'uniposca giallo della mia amica tracciò una scritta che aveva del sacro:
BAGNO LESBINO.
Ma non ci fu solo quello.
Durante una lezione di inglese la cara ragazza iniziò a disegnare un pene in erezione. Sembrava vero, aveve vene, aveva tensione, insomma, pareva il risultato di continue attente osservazioni dal vivo. Invece no, la mia amica era ancora casta e pura: aveva usato solo molta immaginazione e fantasia.
La lezione continuava e il disegno prendeva sempre più forma sotto gli occhi meravigliati di me e del mio allora-non-ancora-ex; davanti al pene prossimo all'esplosione stava un deretano impaurito corredato da proboscide genitale intirizzita.
Pareva l'immagine del coltello nel burro, dell'aereo contro le Torri Gemelle, un'ineluttabilità copulante prossima al dato fattuale. Cotanto accostamento esigeva una frase nonsense:

SONO LESBICA.

- riuscii a dire solo quello. Non mi spiego ancora come mai mi uscii quella frase, non c'entrava nulla col disegno. Ma secondo tutti ci stava, insomma, aveva un suo perché.
Si sviluppò in seguito l'idea (mai realizzata) di far stampare su maglia quel disegno.
Credo di averlo ancora da qualche parte, quel pezzo di carta.

Ma non sarei mai andata in giro con una maglietta così, né tantomeno con quelle che vendono sul sito di cui sopra. No.
Il mio slogan personalizzato è tutt'altro che ganzo e cool come il mondo patinato di L Word.
Naaaaa. Io penso al Dosto (M'inventavo la vita pur di viverne almeno un po') e scrivo:

L'unica cosa che gli altri trovano interessante in me è la mia non eterosessualità

oppure

Parlo solo della mia omosessualità perché la mia vita sociale non esiste

o ancora

Cerco di fare la lesbica allegra ma in realtà sono anaffettiva

o piuttosto

Antilesbica e seduttrice di etero: quanto sono snob da 1 a 10?



(una risata amara vi seppellirà)

martedì 8 dicembre 2009

s(low)

...transport, motorways and tramlines
starting and then stopping

taking off and landing...

Idiota, rallenta! Rallenta!
Perché quello dietro di me suona come un pazzo? Abbaia solo a me.
Le vene del collo che gli esplodono, che sputa, rosso come un peperone, che perde il controllo e io lo vedo in ralenti. Un mostro. Le sue grida diventano un ammasso indistinto di suoni, una matassa senza inizio né fine.

Ritorno alla realtà.
Ma 'sto scemo non vede che c'è scritto "SCUOLA GUIDA"?
Francesco, l'istruttore, scuote la testa e con forte accento siciliano gli dedica un minchione di tutto cuore.
Ma perché al volante tutti sembrano delle scimmie urlanti uscite dal più vicino manicomio? E perché se non parto con la sgommata vengo considerata una perdente? E perché mio nonno invece non mette mai in terza e la macchina muggisce come una mucca che viene munta male?
Sono queste le questioni che mi frullano in testa mentre prendo l'ennesima guida.

Io odio stare in strada. Ho la patente da 3 anni ma avrò preso la macchina sì e no 2 volte. Puntualmente mi sono sentita male.
Ora (non so ancora spiegarmi il perché) ho avuto quest'impulso omicida di buttarmi in strada. Ma sì, al bando l'insicurezza! Eppure qualche miglioramento c'è stato. Impercettibile.
L'unica risposta che mi do è che sono davvero innamorata per riprendere a guidare; 3 anni fa mi ero lasciata con il mio storico ex, non vedevo nessun motivo per mettermi al volante. Ora ne vedo uno che è grande come una casa. Sono motivata, ecco.
Ma continuo a odiare la strada che 2 anni fa si è presa il mio amico d'infanzia. La odio perché lui amava andare veloce in moto.

/arricchisco il piccolo manifesto programmatico/
Io sono un dinosauro: appartengo al passato e mi faccio soggiogare dai ricordi. Sono vittima di sensazioni e di odori legati a momenti vissuti. Tendo a legare ogni fatto a una data, guardo le coincidenze, leggo i segni. Sono una 24enne con la mente e il corpo di una bambina che grida vendetta.
Mi lamento di tutto, di me stessa, sbuffo a ritmo, uso la classica scusa del "è un periodo difficile", approfitto di alibi forniti dagli altri per giustificare ogni mia più piccola mancanza, ma non faccio mai nulla per migliorare. Anzi, mi crogiolo in questo mio infinito malessere.
La mia vendetta, poi, è costituita da mille torti subiti quando ero bambina e su cui ora fondo il mio carattere. Sono essenzialmente immatura.
La mia più grande mancanza (che tutti mi hanno fatto notare, chi più, chi meno) era la guida. Non ho mai guidato per paura, per insicurezza e per pigrizia.
Sono pigra. Amo dormire, amo l'ozio, amo non fare nulla.
Non lavoro. Non guadagno, non produco. Sono un parassita. Sono una pessima persona. E me ne vanto.

Sono lenta.
Vivessi in un modo perfetto, ascolterei sempre i dischi dei Low, degli Slowdive e dei The Clientele.
Perché la lentezza fa parte di me, perché mi chiamo Va-lentina.


venerdì 4 dicembre 2009

...mancava solo Allevi.

Io non guido. Prendo l'autobus, mi metto le cuffie nelle orecchie e mi guardo in giro.

Quest'estate, ad Agosto, ero ferma alla fermata del bus, una macchina parcheggiata con le 4 frecce davanti a me, a 3 metri di distanza. C'era una donna al volante che piangeva disperata. Parlava con qualcuno seduto dalla parte del passeggero, ma non riuscivo a vedere chi fosse.
Improvvisamente ha aperto la portiera, attraversato la strada senza guardare e imbucato una lettera nella casella postale. Si è girata lentamente, ancora senza controllare né a destra né a sinistra, ed è ritornata alla macchina.
Piangeva ancora di più. Ha parlato con l'omino invisibile ed è ripartita.

Un trailer perfetto.

giovedì 3 dicembre 2009

Piacere mio

Perché l'amore ha i suoi punti di vista, come canta un interessante inedito partorito dalla trasmissione più pongo del mondo (amici di MariaDeFilippi).



Si legga nella mente l'orgasmo di lui con lei: "e basta con 'sti caz...di preliminari, che ce l'ho barzotto da 40 minuti e sto a esplode. Ah, bene, sììììììììì, tunz tunz tunz tunz, paradiso all'improvviso, è anche per questa volta è fatta".

Si legga nella mente di lei l'orgasmo di lei con lui: "5 anni che lo famo e questo c'ha ancora la lingua de vacca. Ma vuoi spostà 'sta mano qui? E mò vuol entrare, pare un pupo a cui si nega la tetta. E tié. Tunz tunz tunz. Già fatto? E' pic!"



Intervallo



Si legga nella mente l'universalità orgasmica di lei con lei: "Altissimo, purissimo, lesbissimo".

giovedì 26 novembre 2009

Sa di spirito adolescente (e puzza di bruciato)

Tutte noi abbiamo avuto l'amica tossica, o punk, o dark, o autolesionista, o ribelle del cazzo, comunista, rasta, fattona. Quella che ha ci ha iniziato all'adolescenza facendoci ascoltare i Doors, i Nirvana e Bob Marley. Quella che chiamava i genitori per nome. Che era l'eterna assente al liceo.

Questa è la storia di L., aka Butty.
Butty l'ho conosciuta i primi giorni di liceo. Era settembre/ottobre del 1999, avevo appena compiuto 14 anni. Lei dimostrava 5 anni in più: capello lungo alla cugino It, doppie punte a go-go, effetto scopa di saggina in testa; alta molto più degli altri; classico maglione sformato di lana infeltrita, jeans coi buchi, Nike essenzialmente rovinate.
Gli occhi: svaniti da tempo immemore.

Mi avvicinai a lei ad educazione fisica, durante una partita di pallavolo. Si sa, gli esemplari di maschio 14enne (e ne avevamo ben 4 su una classe di 22 persone) non chiamano mai per nome le ragazze, per non correre il rischio di sembrare dei proto-froci effeminati. No, loro usano il cognome.
La Butty, indispettita da ciò, coniò per me un soprannome: Zilly. Tanto per rendere l'idea di quanto piacque: nessuno dei miei compagni di classe riesce tuttora a chiamarmi Vale.
Ma Zilly non era solo un soprannome. Era anche un manifesto di pensiero, prontamente stilato dalla Butty stessa. Lo slogan, partorito dopo una manifestazione di inizio ottobre in occasione della quale aizzai tutta la classe alla rivoluzione - invece di stare seduti nei banchi -, fu scritto sulla lavagna dell'aula: "Zilly for president".
Ma non ero io l'alternativa, la politica, la ribelle. Mi limitavo a proiettare e a caricare su di me tutto ciò che di alternativo e folle vedevo in lei: le canne, il culto di Buffalo Soldier, le bigiate, l'ostentare con quel perfetto mix di arroganza e vittimismo il cliché (ormai sgualcito tanto è stato masticato) del ribelle perdente trasandato, preda del malessere adolescenziale.
Per me era tutto nuovo, un mondo affascinante ai miei occhi di 14enne. Un mondo intriso del più semplicistico menefreghismo e di una calma apparente, pronta ad esplodere.
La Butty, in effetti, era sempre calma. Calma quando, in camera sua, apriva il lucchetto di un baule e tirava fuori la bottiglia di crema whisky. Tranquilla quando si rollava una canna e salutava i suoi con un "Ciao Dani, ciao Franco" mentre uscivano per l'ultimo dell'anno, lasciando così la casa a noi e altre due ragazze assolutamente folli (che, col passare degli anni, si sarebbero trasformate nella più gretta forma umana esistente: le beghine ante-litteram, ossia vecchie già a 19 anni).
Quel Capodanno fu memorabile [era il '99-'00 e tutti avevano paura del Millenium Bug. Ma ho un dubbio enorme ora, forse era il 2000-2001?]; io avevo portato 40 polpette (il gatto della Butty ancora se le sogna di notte, immagino), la Butty aveva nascosto un piccolo esercito alcoolico in camera sua. Tra fumi di canne (io non fumavo manco!) e fiumi di vodka versata sul tappeto, tornai a casa con i vestiti pregni del famoso odore dolciastro .
Nella leggenda la domanda di mamma: "Ma il papà della Butty fuma la pipa?"

Con lei vedevo i manga su Antenna3, i video sugli UFO e, ricordo come se fosse ora, Karate Kid 4 (con una giovanissima Hillary Swank a porre il primo mattone nella costruzione del perfetto androgino femminino, sviluppatosi poi con Boys Don't Cry e Million Dollar Baby).
La Butty era capace di cose grandiose: scrivere nel tema di seconda liceo un panegirico a Buffalo Soldier con annessa santificazione di Bob Marley; scappare alle 8.08 dalla finestra della classe (eravamo al primo piano) per poi entrare alla seconda ora; farmi comprare la cassetta dei Prozac+ con Acido/acida; costringermi a vedere Dawson's Creek per farle il riassunto perché lei era in camera col suo morosetto (poi Dawson's Creek mi iniziò a piacere davvero e anche a voi, non negatelo!); ma soprattutto mediare con uno spacciatore 30enne per avere un cartone. [Butty, cosa è? Un anime?].

Lei, proprio lei, che andava in giro sempre col Vicks Inalante, fu la prima a sapere di me. Io, cotta di una compagna di classe, rivelai alla Butty, con estrema insicurezza e imbarazzo (ricordo ancora la voce tremolante), che provavo un'attrazione per S..
Lei la prese benissimo, consigliandomi di non dirlo a nessuno, però.

Con la Butty sfottevo un'altra compagna di classe, solo perché arrivava dalle Valli (e quindi un'ingenua Heidi bergamasca) e perché era la più brava, chiamandola Nefertiti (c'era una palese somiglianza con la statua della regina egizia).
Nefe, in seguito, divenne la mia migliore amica di liceo e, 3 anni più tardi, una notte del luglio 2003, mi avrebbe rivelato che tutta la classe sapeva di me già dalla seconda liceo, perché la Butty aveva diffuso la lettera che scrissi a S..
Un compagno di liceo mi confessò che ne custodiva una copia nel portafoglio (la Butty aveva davvero pensato a tutto, provvedendo anche alla fotocopia della lettera). Non ci credevo. Me ne recitò uno stralcio a memoria.

Dalla terza superiore la Butty cambiò sezione. La vedevo nei corridoi, bruciatissima e fumata, a mangiare snicker; la vedevo trascinarsi il corpo, come uno zombie.
In quarta ebbe un incidente. Venne quasi messa sotto da un'anziana signora al volante.
Mi dissero che stava perdendo l'olfatto, e capii immediatamente. La incontrai davanti a un bar, qualche tempo dopo. Con voce sempre più corrosa dalla droga mi chiese se volevo della bamba.

Ora la Butty batte. Sembra un pessimo gioco di parole, ma è così.
Con i soldi ricevuti dalla vecchia al volante, la Butty si è cercata casa. Abita nel mio stesso paese, 2 minuti a piedi da casa mia. Quest'estate l'ho vista più volte andare in giro con mini abiti, cosce al vento e tette fuori, magrissima, sempre in compagnia di uomini diversi. Brutti ceffi.
Riceve in casa, 50 euro, per pagarsi la roba, si buca. Mi hanno detto.

Ah, non ho neanche spiegato perché veniva chiamata Butty. C'era un barbone, nel paese dove abitava prima, che era soprannominato "ol Butì". Dicevano che somigliasse a lei.

giovedì 19 novembre 2009

Pessima mira

Una volta mi vantavo del mio radar che mi consentiva di riconoscere una lesbica a 5 metri di distanza. Le beccavo tutte, inspiegabilmente, il CICAP mi aveva perfino contattato per studiare questa mia dote innata.

Una volta.
Sto perdendo colpi, ahimé, collezionando una figuraccia dietro l'altra.

L'anno scorso, cotta cottissima dell'assistente androgina del mio professore, aspettai a fare l'esame per dirle che mi piaceva molto. Dopo essere diventata paonazza e verde (?), si mise a ridere un po' impacciata, un po' imbarazzata, un po' a disagio, dicendomi che tutti credono che lo sia mentre a lei non interessa, non sa, non vuole sapere. Non desidera nessuno.
Appartiene al gruppo delle grandi incognite che usciranno dall'armadio a 40 anni e vivranno la loro personale Woodstock cercando di recuperare il tempo perduto.
Beh, ci avevo visto male, ma fiutai che c'era qualcosa di latente in atto.
Ecco, lei è il mio sogno proibito: altissima, magrissima, sempre stanca, sempre un po' scazzata, un cervello immenso e inesplorato, borse di studio e borse sotto gli occhi, che ama gli Smiths e che porta le magliette dei Joy Division durante le lezioni. Tipo che ti amo, quasi.
Ma sei inarrivabile, my dear. E sei pure un mistero.


Non mi sembrava per niente un mistero una ragazza che sta facendo il laboratorio teatrale con me: viso da ragazzo, voce mascolina, modi di fare palesemente palesi, calcetto femminile, la classico tomboy. Era una partita facile.
Pessima mira. In un momento di debolezza le dico: "scusa se mi faccio gli affari tuoi, ma sono lesbica quanto te". Mi aspettavo uno sguardo solidale, tipo ehyanchetumaddai?, invece "no, guarda, me l'hanno detto tutti e ci sono anche abituata, ma non è così".

Speck.


La mia prossima scommessa è la regista che ci tiene il laboratorio teatrale. Classica bellezza androgina, capello corto biondo, mai un filo di trucco. Riesce a starmi bene anche in tuta. E poi suda e le vengono le pezze. Ti stimo, sorella.

giovedì 12 novembre 2009

I nostri amici gay che mi leggono suppongo ascoltino anche loro musica

e quindi accattateve 'sto gruppo camp, un po' kitsch, un po' sessy, un po' tanto "clone frocio dei Baustelle". Si chiamano Egokid.
Su rockit l'ascolto è gratuito, basta cliccare sull'immagine.



Ho gridato già al genio dopo aver visto che una canzone si chiama Arbasino, e dopo averla sentita stramazzo al suolo, preda delle convulsioni, con voglia di danzare (con la zeta dolce).
Mamma mia, fa indiechecca, fa Rayban Wayfarer neri da vista, camicia a scacchi con sotto la canotta, un po' di pelo, di pizzetto, di All star e birretta in mano (scenari suburbani gentilmente concessi dal Magnolia, Idroscalo, Milano).
Ma fa anche tenerezza e carezza ambigua che sottintende a baffo contro baffo.

Il mio immaginario dei gay si limita a questi stereotipi, lo stesso per noi lesbiche.
Ultimamente non ho molta voglia di scandagliare i meandri dell'omosessualità, perdonatemi.

il cantato alla Renato Zero (in impercettibili venature) non ha prezzo.

venerdì 6 novembre 2009

Le tante lesbiche di tanti tipi

Questo è un post di antropologia lesbica dedicato a Levi Strauss.


LE TANTE LESBICHE DI TANTI TIPI
studio applicato


In seguito ad attenta osservazione, indagini sul campo e studi comparati, mi accingo a trarre le conclusioni e a tentare di fare un po' di chiarezza e luce nello sterminato universo lesbico da me esaminato.
Suddividerò lo studio in più punti a scandire le diverse tipologie (rappresentate molto per macro gruppi e a grandi linee).

NB: l'età presa in considerazione è dai 18 ai 34 anni.

PUNTO 1:
Sono intorno a noi, in mezzo a noi

La tipologia numero 1 è facilmente riconoscibile. Etichettata anche come uoma o "maschio mancato", viene additata spesso in quanto fonte di ambiguità: è un uomo o una donna?
Il viso è da ragazzino tredicenne su corpo mediamente grasso o mediamente scheletrico; a volte piccine da non superare il metro e 60; il seno prosperoso (dalla terza in su) o completamente assente; il modo di vestire un po' sciatto, senza gusto. Non si valorizza quasi mai la propria femminilità, anzi, si tende a camuffarla, oppure si assume un modo di porsi, camminare e parlare molto maschile.
Poco dubbiosa sulla sua sessualità, tutti i conoscenti (genitori, parenti, vicini di casa) sanno di lei. Difficilmente si sarebbe potuto pensare diversamente.
Dolce, affettuosa, una solida compagna, pronta a menare per difendere la propria partner, con la quale partecipa a tutte le iniziative del più vicino circolo dell'Arcilesbica. Proprio il circolo è diventato la sua seconda famiglia: lì ha conosciuto altre ragazze come lei, divenute successivamente amiche (alcune perfino compagne). L'importanza della ghenga, della comunità e della cerchia di amicizie è fondamentale per lei: attraverso il confronto è riuscita a diventare ciò che ora è. Forte di carattere, raramente incappa in momenti di crisi.
Da sottolineare è la poca plasticità culturale e i discutibili gusti musicali. Ma non ama molto riflettere, lei, e quindi ben venga la poca profondità.
Una roccia.


PUNTO 2: Sono intorno a me, ma non parlano con me

Passiamo alla seconda tipologia. Sono le tipiche grandi incognite. Tendenzialmente molto silenziose, insicure e timide quasi fino all'eccesso, questi visetti dolci e pacatamente femminili esprimono, coi loro grandi occhi, la terribile paura di essere scoperte. Il loro comportamento, quindi, tenta, a volte, di copiare i grandi modelli di palese femminilità.
Si chiudono nel loro mondo fatto di barriere e sogni, blocchi e tachicardie, sintomi e segnali. A volte anaffettive e timorose di essere toccate, pongono freni a ogni espressione di amore. Affette da tic, da nevrosi, da immotivate paranoie, le grandi incognite si lasciano andare, rarissimamente, a discorsi da cui trapelano i dubbi che alimentano il loro stesso essere. Preferiscono stare sole, coi loro gatti, col loro lavoro, con le loro mezze risposte, trincerate dietro pile di libri, muri di vetro, alibi di ferro.
La loro è una fase di transizione, ovviamente. Si è così in attesa di sbloccarsi, di rivelarsi, di vivere in pace con se stesse. Ma abbiamo dei rari casi in cui il timore è così grande da inibire ogni slancio.
E si arriva, così, a 32 anni senza sapere cosa si vuole, perché non lo si vorrebbe, come mai non si è capaci di volerlo.
Sarebbero amanti splendide, se solo lo desiderassero.


PUNTO 3: Sono come me, ma si sentono meglio

Concludiamo questo mini-studio con l'ultima tipologia: le stronze irrangiungibili. Cresciute in famiglie e ambienti di classe, educate ai valori cattolici e alla religione laica della borghesia medio-alta, le giovani leve crescono nella bambagia dell'ACI e dell'AGESCI (ambienti che sfornano lesbiche in quantità industriale, e la uoma lo sa bene!) per poi approdare, dopo un liceo - privato o comunque di ottima reputazione -, in una grande città europea: Londra, Parigi, Stoccolma, Roma, Milano, per studiare Economia e Marketing, Scienze Politiche, Giurisprudenza, Lingue per la Comunicazione Internazionale (mai e poi mai Letterature, che è 'na roba da comunisti utopisti tristi, che non porta a nulla, che non garantisce lavoro!) in università stellari.
Il motto è: pensare in grande, pretendere il meglio, vivere il sogno cosmopolita. (perché il sogno, lo dice Briatore, bisogna viverlo col cuore!).
I genitori non sanno nulla dei loro gusti sessuali e guai se lo sapessero! Gli amici, manco loro. Il tutto viene vissuto nella più completa segretezza alla quale si alternano intensi momenti di lesbicume acuto. Disseminano indizi, alimentano dubbi, ma preferiscono rimanere nel più asettico anonimato.
Essere lesbiche è demodé? E allora giochiamo a fare le etero, qui all'happy hour, qui alla festa, qui all'after. Parliamo di design, di borsa, di musica elettronica, del gruppo indie, del film di Tarantino, dell'attore che si è finto gay, ridiamo e riempiamo il bicchiere.
Fissiamo feste, house concert, nel giro giusto, creiamo momenti unici da condividere su Facebook, facciamo foto, facciamo video, facciamo l'amore come se fosse un gioco, facciamo schifo.
Trattiamo male quella nerd, calpestiamo l'artista, demistifichiamo l'inguaribile romantica, spernacchiamo il sentimento. Ché noi siamo le detentrici del sapere, del gusto, della sicurezza, della bellezza.

lunedì 2 novembre 2009

Hiroshima mon amour

Tipo 30 gradi sottozero sotto le coperte.
Mi sto innamorando.

venerdì 30 ottobre 2009

Ho una scrittura poco femminile

Me l'ha detto Tommaso Pincio, prima dell'intervista.

Non è la solita intervista noiosa e barbosa, ma un viaggio musicale; è stato uno dei momenti più intensi della mia vita.

E mò vi metto i podcast, chiaramente senza brani, per i diritti di autore.

Parte 1 e Parte 2

mercoledì 28 ottobre 2009

Enne

Ci siamo detti cercami come un ago in un pagliaio
volevi dirmi trova il mio volto tra le dita
eppure è rimasto il tuo sapore tra le labbra
anche se non ti ho mai nemmeno sfiorato.

Ci siam detti recuperiamo i soldi poi scappiamo
è come sussurrarsi ad alta voce il proprio nome
tu sei la matematica che mai entra nel cervello
potessi darti solo una frazione del mio cuore.

[Sempre i soldi
sempre i soliti
non cambiano mai
cambiassero sempre
dipende da me
ma non è colpa mia
ridessi colle lacrime
invece piango a stento.]

Pierrot le fou si è fatto una corona di tritolo
poi l'ha indossata come il più semplice degli scherzi
non sono morto stupido come uno scapigliato
son morto di veleno per i topi tra i denti.

Ci siamo detti adieu tu con la mano mi guardavi
ed inquadravi palmo a palmo la mia dipartita
lo stupido non spiega come è nata la ferita
che gli staccò dal collo la testa col sorriso.

domenica 25 ottobre 2009

Di non solo musica vive la donna...

L'anno scorso, in radio, tenevo un programma che s'intitolava Non Solo Musica. Blateravo per un'ora di testi, commentandoli pure, del contesto, dell'autore.
Sì, i testi sono importanti, però ci sono certi dischi che non hanno una-parola-una e mi scuotono allo stesso modo. Questi album appartengono alla categoria della "musica estatica ": sono dischi interamente o per la maggior parte strumentali che hanno vari scopi.
1. fare da colonna sonora a film noir, documentari di geyser islandesi, inserire un vago commento musicale a scene stranamente poco perturbanti di incomprensibili cortometraggi alla Lynch.
2. creare atmosfera (v. sopra) in un bar particolarmente intellettualoide di un quartiere con pretese artistiche di una delle seguenti città: Copenhagen, Roma, Parigi, Barcellona.
3. accompagnare due corpi che sussultano, sudano e si scoprono verso l'irraggiungibile meta dell'orgasmo.

Perché a volte le parole non servono per niente, anzi, sono un ostacolo: quante volte mi è capitato di cantare Elvis, di fare il controcanto a Thom Yorke, di battere il tempo sul collo dell'altra persona cercando di tenere il ritmo della batteria che introduceva Here She Comes Now dei Velvet Undergroung o Logorrea dei Verdena?
Mi sono fatta odiare.

Con certi dischi tutto questo non accade.

Da 18 anni esiste un'etichetta che si affibbia a certa musica strumentale suonata da musicisti provenienti, il più delle volte, da scene musicali alternative, hard-core, indie, noise: il post-rock.
Il post-rock è essenzialmente una variante del concetto di colonna sonora: solo suoni, a volte mugolii in lingue non conosciute ai più, o parole bisbigliate, violini e schitarrate desolate, sonate per piano, pura emozione ben abbinabile a immagini, a sensazioni, a fotografie, a flash mentali.
Per me questa musica è perfetta per il terzo scopo.
Ecco una veloce compendio.

Partiamo dalle dirette esperienze.

Ocean Songs - Dirty Three. La ballata del vecchio marinaio trova una perfetta colonna sonora. Disco di una bellezza rara, apparentemente semplicissimo nelle strutture. Il violino....cosa non è?

() - Sigur Ros. Quando parlavo di mugolii incomprensibili in lingue inventate mi riferivo a loro. Sinceramente gli preferisco il disco precedente, ma questo è così magico...

Souvlaki - Slowdive. Qui il cantato c'è, ma manco si sente, quindi che importa? Il disco è un capolavoro del genere shoegaze (non distante, come periodo e attitudine, dal post-rock). Da portare sull'isola deserta. L'apertura di When the Sun Hits è da consegnare ai posteri, agli alieni, a chi un giorno colonizzerà questo mondo.

Felt Mountain - Goldfrapp. Lynch, una testa di cervo, una pazza in montagna, una voce che pare uno strumento, orchestrazioni anni '60 da spy-story. Un disco che ti spinge contro il muro, che ti porta altrove, per attimi post-coitali.

Spiderland - Slint. Pietra di paragone del post-rock. Perfetto, 6 tracce. Ascoltate Washer, vi prego, commuovetevi.


Sulla fiducia, per corpi sudati futuri:

Laughing Stock - Talk Talk. Ah, uno dei miei dischi preferiti. I 20 secondi di ronzio che precedono la pennellata chitarristica del primo pezzo sono pura libidine.

piccola parentesi non post-rock:

Dummy
- Portishead. Musica da sesso lesbico Lato A. Disperato e alienante, urlo uterino. Alla Jenny Schecter.

Mezzanine - Massive Attack. Musica da sesso lesbico Lato B. Teardrop, tanto per intenderci. A volte morboso, claustrofobico e sotterraneo.

fine parentesi

They Shoot, We Score - Yo la Tengo. Recentemente scoperto, merita perché diversissimo dai due sopraccitati. Qui è tutto molto più morbido, accogliente, ti scalda, ti accompagna.

Sto vagliando anche i Rachel's, che è quasi musica classica.


Si accettano suggerimenti.

L'amore farà pure 14, ma la paura continua a fare 90.

venerdì 23 ottobre 2009

Radio o Lady ga-ga?

Dopo aver dichiarato in radio che "mi prendo le mie personalità"* per aver detto che Ratzinger ha tatuata una svastica (non si sa dove!), aspetto la mia punizione, mi cospargo il capo di cenere e guardo X-factor.
Perché Sofia perde sangue, perché Sofia piange, incompresa pure dalla Mori, perché Sofia si stava rifacendo gli occhi con Cristiana e Cristiana è uscita e Sofia ora è triste!
Perché Sofia viene salvata al ballottaggio: stranamente, da quando hanno pensato per lei un look più lesbo, il pubblico pare graziarla.
Perché Sofia non c'ha un filo di voce eppure interpreta.
Perché Sofia parla come la mia ex, in modo mascolino.
Perché Sofia una volta era così:


e ora pare secca come una foglia morta.
Ma le foglie morte, come diceva Prévert, cadono a mucchi, come i ricordi e i rimpianti, e il vento del nord le porta via nella fredda notte dell'oblio. Vedi: non ho dimenticato la canzone che mi cantavi. È una canzone che ci somiglia. Tu mi amavi, io ti amavo.
Oh, faccio indigestione del mio passato!


* non ricordo cosa mi hanno risposto, ma era una bella battuta.

domenica 18 ottobre 2009

I'm coming out!

...so you better get the party started.
Ah Sofiiiiiiiiii!

lunedì 5 ottobre 2009

Il teorema di Ozpetek

Mie care compagne,

ritorno amara più che mai per parlarvi di un caposaldo della mia personale controcultura.
Vi avevo lasciate quasi un mese fa col primo post del piccolo manifesto programmatico in cui abbozzavo in una meravigliosa cornice finto bohemien un'analisi di ciò che può entrare di diritto in un'estetica delle lesbiche depresse (che le lesbiche depresse abbiano o meno un'estetica è una questione da discutere in separata sede, ma d'indubbio interesse teorico).
Or incominciano le dolenti note, ossia: qual'è il modo più doloroso per manifestare il proprio disagio interiore che non sia l'autolesionismo, il sesso bondage o il finto tentativo di suicidio?
La risposta c'è. Ferzan Ozpetek. E qui mi sovviene la felice battuta del Nanni Moretti: "Continuiamo così, facciamoci del male".
Non basta essere lesbiche depresse (e quindi, come disse la mia professoressa al liceo, "Sturm und Drang: complesse, profonde e cariche di tumulti interiori") per essere giù, si possono raggiungere livelli sempre più bassi, attaccati a una flebo o una bottiglia di vodka al peperoncino, davanti a una (qualsiasi) pellicola del nostro turco de Rrroma.

Piccolo aneddoto: l'anno scorso seguivo un corso di linguistica semitica (non chiedetemi il perché, me l'avevano consigliato) e tra un concetto fondamentale della cultura araba e l'altro, il nostro caro professore (anche lui vestito male, a supporto della tesi illustrata in un altro post), tirò fuori Damasco, città in cui è presente uno storico bagno turco (in arabo hammam).
Per rendere la lezione più interessante, decise di buttarla su un argomento abbastanza masticato da noi ciofani: il cinema. Il nesso era ovviamente il film di Ozpetek Il bagno turco - qualcuno l'ha visto? E chi l'aveva visto se non la sottoscritta? Il profe, ringalluzzito da un lampo di vita, chiese agli altri se conoscevano il regista. Silenzio e nebbia. (il livello medio delle mie compagne di corso è James Blunt, Muccino, Twilight...Ozpetek era davvero troppo).
Il povero profe, che vide in me evidentemente l'unica conoscitrice del mondo ozpetekiano, mi guardò con estrema speranza. Iniziai così la mia Wiki: non solo gli elencai quelli che avevo visto (tutti, quasi) ma anche gli attori e l'anno di uscita. Entusiasta arrivò alla domanda finale: "e che ne pensa?"
No, non potevo fare come Fantozzi dopo la proiezione del capolavoro di Ejzenštejn, e mi limitai a un secco: "Sono un po' tutti uguali". Lui ammise che sì, in effetti la trama era sempre quella, con qualche minima variazione sul tema, ma rispose prontamente: "sì, ma quella è la loro forza".

Dopo qualche mese mi riguardai Saturno Contro, non solo per rimirare Ambra Angiolini che pippa come un'indemoniata, neanche per avere rigurgiti etero (beh, a volte tornano) contemplando Argentero. No. Volevo stare male, toccare il fondo, volevo provare un senso mistico della tragedia, dell'umanità, volevo essere in contatto diretto con Ferzan.
Ferzan, parlami, dimmi, perché? Perché questo scialbo realismo? Perché questa martoriata visione dell'amore? Questa sfiducia/fiducia nei rapporti? Questi tempi morti?
Ferzan, perché non parli?

Ma Ferzan quella volta mi parlò.
Riuscii a toccare il fondo della mia presunta depressione. E capii, aprii gli occhi.
Trovai quei film toccanti, logici, eccezionalmente intimi e ordinari. Colsi uno schema.
Eccolo: il teorema di Ozpetek:

"Prendi un personaggio (uomo o donna non importa) sull'orlo di una crisi di nervi. Fagli perdere ogni certezza. Rivoltalo come un calzino. Immergilo in una realtà nuova e sconvolgente. Fallo cambiare. Risultato? Amore per la vita pieno d'energia rinnovata o tristezza a palate e abisso".

Spiegazione logica del teorema: ciò che coinvolge di più è, oltre alla recitazione vibrante dei suoi attori (probabilmente è un mago e li mette a loro agio), proprio questa sensazione di continuità tra una pellicola e l'altra: sensazione sicuramente data dalla scelta di volti ricorrenti (Accorsi, la Buy in primis e l'attrice turca che c'è sempre) come pure dai personaggi che interpretano.

C'è sempre un malato, sempre un capo-famiglia, sempre un "folle" inteso nel senso medievale del termine, e sempre un personaggio rotondo, che muta dall'inizio alla fine. Proprio questo personaggio (la Buy nelle Fate Ignoranti, il giovane scrittore in Saturno Contro, la Mezzogiorno nella Finestra...), inizialmente esterno alla famiglia, alla comunità, o a una nuova realtà, viene assorbito da essa fino a esserne non solo parte, ma elemento essenziale. Credo sia indispensabile l'entrata di quel personaggio nel film: è il nostro sguardo, lo sguardo dello spettatore intimorito da una nuova realtà, pian piano condotto all'interno di essa fino ad amalgamarsi. E la mescolanza di questo nuovo elemento con la nuova realtà rende possibile un finale corale, a volte colmo di speranza e di crescita, a volte amaro.


Uscire incolumi da un film di Ozpetek si può, quindi, basta applicare il teorema, care fate ignoranti.
Poi dimenticate tutto e correte a guardare Almodovar.

domenica 4 ottobre 2009

Chiudere gli occhi nel terribile frastuono del nulla

L'anno scorso, fine agosto, ero impatanata tra gli scaffali della biblioteca della mia città, sezione lett. francese o di lingua francofona.
Cercavo un qualcosa ma non sapevo bene cosa: il mio sguardo si spostava veloce, indugiando su titoli più o meno conosciuti. Balzac, Camus, Celine. Cocteau.
Mi capita tra le mani, quasi cadendo, un libretto: I ragazzi terribili. Me ne aveva parlato un anno prima un mio amico, descrivendomelo come uno dei libri più vivi che avesse mai letto. Pure la copertina giocava un certo ruolo, come le illustrazioni al suo interno, di Cocteau stesso: 3 visi quasi stilizzati e sovrapposti, di profilo. Perfetto, è mio.
M'immergo. La scrittura è vibrante, plastica, colpisce allo stomaco ed è paradossalmente partorita da un autore distaccato e complice . Quella storia è una ferita aperta. Solo alla fine del libro leggo che Cocteau ha scritto il libretto in 17 giorni, durante il periodo di disintossicazione dall'oppio. E quindi capisco.Lucido e coinvolto, il suo fantasma si percepisce in filigrana. Si respira un'atmosfera di morte, come una sconfitta universale, un clima morboso che ti incolla alle pagine fino al climax degno di una tragedia greca. Perché I ragazzi terribili è una tragedia il cui epilogo è intuibile già dalle prime pagine.
Un malessere strisciante, sottile, che si attacca alla carne, che porta fino a un punto di non ritorno serpeggia non solo nel libro, tra i protagonisti, avvolgendoli come la neve, ma raggiunge anche il lettore. Il tutto senza descrizioni psicologiche, senza fornire alcun alibi, con uno stile secco, a volte asettico, rassegnato, ma vivo, pulsante, quasi a celare un reale lacaniano, un vuoto perturbante, sfuggente, irrazionale, l'abisso della morte.

Un anno fa scrissi:

"Truffaut diceva in Jules e Jim: "La felicità si racconta male a parole". (che poi erano parole di Roché)
Cocteau, in questo brevissimo romanzo allucinato, la felicità la vede da lontano, ovattata da un cieco malessere, da un'ambiguità di fondo.
E tutto finisce come era iniziato, come in un incubo nato dall'oppio.

In 3 non si può mai essere felici."

(tra parentesi: si veda The Dreamers e si noti la "terribile" somiglianza)

venerdì 2 ottobre 2009

E che Dio l'aiuti!


Ma non v'ho ancora detto quanto amo i Belle and Sebastian?
Troppo.
Il cantante e autore dei testi, Stuart Murdoch, ha avuto un'idea grandiosa: un musical tutto al femminile dallo stampo maledettamente retrò. Insomma, ha precettato 3 cantantesse (dalle voci interessantissime, a mio parere) e ha iniziato con i suoi Belle and S. a suonare, registrare, provare, riprovare e ancora provare. La cosa buffa è che il musical deve essere ancora girato: la colonna sonora è uscita a Giugno e le riprese inizieranno l'anno prossimo.
Facile intuire la storia: a partire dal titolo (God help the girl), dalla necessità di avere delle cantanti donne, dal sound così anni '50 e dai testi, tutto richiama alle tensioni di un'adolescente divisa tra la scuola, il seminario e la musica, le prime cotte, i desideri.
Uh, una rebel without a cause?

Mannò, siamo in terra d'Albione, miei cari, e tutto, sia nei testi che nelle intenzioni, verrà smussato da un'ironia tipicamente british, tra il serio e il faceto.
Non vedo l'ora che esca il musical.

Nel frattempo, se siete curiose di sentire qualcosa di stucchevolmente perfetto (eh sì, è raro trovare un cd suonato e cantato in maniera così curata e che diverta tra uno svolazzamento di archi e un dispiego di armonie orecchiabili ma mai banali), cliccate sull'immagine sopra.
Vi dovrebbe portare a un link. Il resto lo potete immaginare voi.

Viola di mare, l'X factor di Sofia e delle pallavoliste

Violette fresche aulentissime,

avevo notato anch'io questa pellicola; incuriosita andrò a vederla per vari motivi.

1. adoro la Sicilia. L'unico ragazzo della mia vita è di origini sicule e ricordo con piacere una bella vacanza (tra l'altro l'ultima che abbia fatto) in provincia di Ragusa, a Modica, in compagnia di un amico in piena fase di turbe sessuali. [Nello stesso istante in qualche altra spiaggia...] il mio bello trascorreva una vacanza greca, classiche avventure da zingaro felice con i suoi amici lupacchiotti inseparabili, dormite in spiaggia e pranzi improvvisati con confezioni scadute di wurstel. Avevo 19 anni ed ero davvero innamorata.

ma soprattutto 2. La Valeria Solarino mi ricorda terribilmente la ragazza con cui il mio bello mi beccò, ciuca io e ubriaca persa lei, alla festa di mia cugina. La Valeria Solarino appartiene alla schiera degli esseri innegabilmente superiori, per bellezza e per eleganza, ma non solo: ella ha recitato con quella meraviglia di essere maschile che è Filippo Timi che non solo mi ricorda vagamente il mio bello ma è stupendamente dolce/impacciato/occhioni bovini. Mamma mia, che chiccherie eterosessuali mi stanno uscendo dalla bocca?!


Ma veniamo al dunque e torniamo a toni un po' più lesbo-turbo. Un'ode alla grazia innaturale delle pallavoliste, loro sì che hanno l'X-factor. E non sto qui a dirvi perché.
Dirotto la vostra attenzione su un cartone animato che noi tutte conosciamo: Mila e Shiro. Applicando la famosissima teoria queer ho individuato la lella della squadra: guarda guarda in campo c'è una nuova giocatrice.........
Vi do 10 secondi.



Sì, vabbé, era Yoghina, scontata?!
Invece le pallavoliste che mi avete segnalato sono tutt'altro che yoghinesche, sono stupendamente insospettabili! Solamente collocandole nel contesto pallavolistico potrei dare una connotazione ambigua, scovando quel certo non-so-che. Uso il condizionale perché non sono certissima della loro parrocchia, anche se....

Sempre più sicura sono, invece, della parrocchia di Sofia di X-factor: mamma mia, ha un modo di parlare, di muoversi, di cantare che è palesemente de parte.
Ma cara, te lo si legge negli occhi, che aspetti a manifestarti all'intero universo mondo??! Parli in maniera strascicata un po' rauca un po' maschietto 17enne, un po' shane, un po' I-don't-belong-here, t'adoro.
Suvvia, Sofia, t'aspetto a Bergamo per strimpellare le canzoni di Jeff Buckley. Strimpellare, ho detto.

Da leggere sui Massimo Volume

Avevamo entrambe perso, io e te.

Tu, trincerata dietro un muro che tu stessa avevi innalzato.

Io, tesa in inutili atti d’amore che risultavano come un’eco, avevo perso il motivo e il fine.

Se mi muovevo è perché credevo bastasse l’atto senza origine né fine, sciolto da ogni filo.

Ma tu mi modificavi e tenevi in ordine date, arrivi, dettagli, come se oltre quella palizzata ci fosse un notaio che si appunta ogni rigo.

Che fosse d’acciaio o una roccia poco cambiava: non c’era più nulla di nascosto al di là di quella parete.


Abbiamo preso anche la più piccola tasca, creando il vuoto; più nulla conteneva nulla, al di fuori di noi. Non c’era spazio, angolo, luogo che potesse nascondere il minimo oggetto.

Il tuo modo di vendicarti è secco. Non fai trapelare la minima emozione, eppure hai una strana luce negli occhi come se finalmente ti fossi fatta giustizia.

Una delle espressioni più abusate dalla nostra società pop – uccisa brutalmente dalla sua stessa realizzazione.


Per non avere più sogni nel cassetto abbiamo bruciato tutti i mobili – un falò che sembrava toccasse il cielo; noi, distanti ma anche attratte dal fuoco, e tu, con la tua nuova luce splendente in fondo agli occhi, noi abbiamo trovato un perché, una spinta a quello che stavamo facendo, a quello che guardavamo. Anche lo scopo appariva limpido come mai lo era stato. E tu, valicata la barriera che ti separava dal resto dell’universo, non sembravi più la stessa, non più fissata con i particolari e i minuti, ma preda, vittima dell’immenso vuoto che stavamo creando.

Stavamo uccidendo i condizionali, le ipotesi, le supposizioni e le fantasie e tu parevi parecchio divertita. Forse stavamo anche tagliando le gambe al nostro futuro…?

“Significa distruggere ciò che eravamo e ciò che vorremmo essere”…uccidere il futuro nel passato e il passato nel futuro, i rimpianti e i rancori, e i sogni nel cassetto.

“Vuol dire assaporare questo attimo qui” – il presente.

Per non avere più sogni nel cassetto abbiamo bruciato tutti i mobili, ed era questo il nostro più grande sogno nel cassetto.

giovedì 24 settembre 2009

Eduardo, gli esami finiscono. Ora scelgo la vita?

"Giubilo"= gaudio ineffabile, che colla lingua non si può esprimere, ma tacere non si può: e però si manifesta per certi segni e atti giocondi esteriori, il riso e simili.
Ora condurrò una vita sana: esami del sangue, sveglia alle 9, a letto a mezzanotte, inquadramento, amori eterosessuali, Laura Pausini, i Negroamaro, i Coldplay, Susanna Tamaro, i film di Muccino, i pantaloni a sigaretta, il cervello in fumo, "tirando avanti lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai.
Scegliete un futuro, scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita, ho scelto qualcos'altro, le ragioni?".
Le ragioni, le ragioni, le ragioni.
Ora voglia di pensarci non ne ho. Dormirò fino al prossimo dubbio.
Nel frattempo vi propongo questo video che ho trovato su un bloghetto che seguo con piacere. E' una specie di compendio dei comandamenti del perfetto indie hipster che "non segue nessuna corrente". Sposo smodatamente molti dei suggerimenti proposti, anche se il termine indie mi dà
un certo prurito, come ogni etichetta.
Tuttavia, siccome sto cercando di aderire anema e core a quella di lesbica depressa, raccolgo l'invito e m'impegno, come già dichiarato nel piccolo manifesto programmatico, a scrivere cose poco hype, molto agé, un po' kitsch, drammatiche, laceranti, tremendamente femminili, molto molto molto tristi e pseudo-profonde.

Italo Indie is Burning from Pop Topoi on Vimeo.


martedì 8 settembre 2009

Once upon a time you dressed so fine...

Mi ammiro allo specchio i capelli senza luce senza forma e poco morbidi che assomigliano vagamente alla scopa saggina. Mi viene in mente una delle mie professoresse, il primo anno di Università: il soprannome era per tutti Marzulla.
La somiglianza era più che evidente: separati alla nascita si dice, no?
La pettinatura alla paggio Fernando si sposava così bene con i colori degli abiti: gonna blu, cappotto marrone. Un abbinamento così infelice non si era mai visto manco nel mio piccolo comune popolato da fiere beghine che apprezzano i capi del mercato fino a decantarne la composizione finto viscosa. No, blu con marrone è deprimente.
Neanche una modella con un fisico perfetto sarebbe riuscita a nobilitare quel pannolenci clericale dall'infelice abbinamento cromatico. Addosso alla Marzulla il risultato era più triste di un'umida giornata ventosa di Novembre anche se, bisogna ammetterlo, c'era una (misteriosa) logica.
Il suo viso andava a braccetto con quei colori: un viso che ricorda I mangiatori di patate di Van Gogh, una bella bietola appena colta, un fiero incarnato color tubero.
Oh, Marzulla! Tu detti legge!

Sinceramente: non c'è professore universitario che si sappia vestire bene, almeno quelli della mia facoltà.
Una mia professoressa, chiaramente ma non dichiaratamente lesbica, ormai verso i sessanta (quindi femminista, comunista e che dà del tu a noi studenti perché ci vede ggggiovani sbarbati - oddio, sbarbati mica tanto, nella mia facoltà 9 su 10 sono ragazze), ha uno stile che può ricordare (e qui ricordo al discorso del post precedente) il personaggio di Fiona di About a boy.
Mi riferisco, nel film, alla scena del primo incontro tra Will (Hugh Grant) e la nostra eroina Fiona: lui commenta l'abbigliamento di lei così: "fascia per capelli, orecchini regalati da un amico tornato dallo Zimbabwe, e uno strano cappotto da moglie dello Yeti".
Così invece scrissi sul mio moleskine, proprio davanti alla profe (sono una da prima fila non perché segua assiduamente e risponda in modo isterico alle sue osservazioni critico-metodologiche, ma perché, si sa, i profe non guardano MAI chi sta attaccato alla cattedra. E poi questa ha ovviamente una cotta per me da quando ho volontariamente musicato una poesia del 1800 suonandola davanti a tutto il corso - alla Joni Mitchell, insomma)....dicevo, mi appuntai subito sul taccuino: "Se c'è un limite, M. lo eccede sempre: cappotto di pelo!".

Il cappotto di pelo lo puoi portare se sei una figa tremenda: non guardi in faccia nessuno e dal tuo metro e ottanta te ne sbatti di qualsiasi eventuale commento. Sei una figa, te lo puoi permettere.
Invece no, M. è tremenda.
Quel cappotto, probabilmente appartenuto a un soldato russo morente durante la ritirata da Stalingrado, è un capo hippie style variante lesbo sad. Trasuda tristezza, desolazione: perde pelo come un pastore bergamasco e, come il cane in questione, ha i rasta. E' ovviamente dotato di vita propria.
Indossato da quella grande f. che è la mia profe - un metro e sessanta per 70 e passa chili, capelli rossicci corti e che ricordano la pettinatura di Semola nel "La spada della roccia" della Disney, denti color carboncino e alito di chi con la sigaretta ci è nato - l'effetto è cinematografico: si ha davanti agli occhi il cugino It della famiglia Addams.
Qual visione celestiale! Che maraviglia! La moda italiana dovrebbe solamente inchinarsi a cotanta eleganza! Che lezioni di stile! Altro che letteratura...

giovedì 3 settembre 2009

Piccolo manifesto programmatico

Qualche mese fa una ragazza mi fece capire, molto implicitamente direi, che i miei sfoghi lacrimevoli le causavano l'orticaria.
"Sono stanca di essere circondata da lesbiche depresse", così parlò ella.
Direttissima come il Bergamo-S. Bartolomeo delle 6.05 il sabato.
All'epoca ci soffrii molto e aggiunsi disperazione a dosi infinite di amarezza, interrogandomi sul motivo che l'aveva spinta a proferire siffata frase infelice. Ora, se ci penso bene, dovrei ringraziarla.

Si dice che le più grandi verità nascono scherzando. Il tono della cara ragazza non era certo ironico ma la mia reazione, dopo la profonda disperazione di cui sopra, fu quella di farmi rimbalzare in testa quest'espressione fino a farle perdere senso, come quando si ripete una parola e la si rende un'accozzaglia di sillabe disunite.
La sua etichetta, in realtà, non aveva nessuna base psicologica: in quel periodo avevo solamente problemi di tiroide e i valori sballati mi causavano terribili scompensi umorali.
Ma la grande verità, nel frattempo, era venuta a galla e così cercai di aderire completamente al canone di lesbica depressa cercando quegli elementi che potevano fare di me un'eccellente rappresentante.

Nasce qui il piccolo bignami delle...

REGOLE PER ESSERE UNA PERFETTA LESBICA DEPRESSA

1. La l. d. ha un background familiare essenzialmente triste. A volte lo evoca ironizzando e sdrammatizzando alcuni episodi ma in realtà Charles Dickens avrebbe potuto scrivere più di un romanzo ispirandosi alla sua infanzia. Ha un trauma nascosto che preferisce tacere e di cui parla solo alle persone amate, dopo aver fatto l'amore. Fondamentalmente figlia unica e quindi fondamentalmente etichettata col cliché di "viziata", la l. d. da piccola leggeva molto, isolandosi in mondi immaginari.
Generalmente ha un padre debole e vagamente intellettuale e una madre courage che le ha mostrato cosa vuol dire amare. Tutto ciò la predispone, già all'età di 12 anni, a provare smodato affetto per figure femminili, anche appena conosciute.

2. La l. d. cova una passione segreta: i cimiteri. Colpita dal Foscolo a 16, si trasferisce a 9 anni in un condominio limitrofo camposanto. Si prefigge un tour cimiteriale dell'Europa entro i 25.
Le urne e le tombe come centro dell'essere e del non essere: meta ultima, giardino lugubre, luogo ideale per una passeggiata. Gli Smiths avranno un certo effetto su di lei.

3. La l. d. è uno spirito affine alla femminista sessantottina nostalgica e pasionaria, vagamente hippie, con cui condivide l'amore per Joni Mitchell. Qui è necessario aprire una parentesi.

Joni Mitchell ha una voce acuta, scrive testi intensi e uterini, tristi e appassionati, suona una chitarra a 12 corde e fa accordi assurdi con accordature altrettanto assurde. Joni Mitchell è folk, è Woodstock (anche se non c'era), è fricchettona e fuori moda, è un paio di pantaloni a zampa d'elefante in un outlet della Benetton.
Ricordate il film About a Boy? Ecco, cancellatelo e tenete solo il personaggio di Fiona, la hippy stramba che tenta (maddai) il suicidio ingerendo una quantità industriale di pillole. Nel libro, che la l. d. ha letto a 17 anni, Hornby indica precisamente i suoi gusti musicali: Joni Mitchell.
Una coincidenza?
Hornby, con la sua vasta conoscenza musicale, avrebbe potuto affiancare a Fiona qualsiasi altro cantante, ma sceglie, guardacaso, oltre la nostra cara Joni, un altro pezzo grosso del cantautorato folk anni '70: Nick Drake (altro elemento musicale adorato dalla l. d. - v. Pink Moon).
Rincariamo la dose. Per la serie "forse non avete capito che questo personaggio è colossalmente triste", Hornby ci dice anche che è vegetariana. Il quadro vivente del weirdo folk al femminile, rivisto e aggiornato per gli anni '90.
Per capirci meglio, ecco un estratto di un testo di Joni (a proposito, la l. d. ama a dismisura l'album Blue del 1971):

Ho guardato l'amore da tutte e due le parti ora,
Dal dare e dal prendere, e ancora, non so come,
Ricordo le illusioni dell'amore.
Non conosco affatto l'amore.


Lacrime e paure e sentimenti, orgoglioso di dire "ti amo" ad alta voce,
Sogni e schemi e folle di circo, ho guardato così la vita.
Ma ora i vecchi amici si comportano in modo strano, scuotono la testa e dicono che
sono cambiato.
Qualcosa è perduto ma qualcosa è guadagnato vivendo ogni giorno.


Ho guardato la vita da tutte e due le parti ora,
Dalla vittoria alla sconfitta, e ancora, non so come,
Ricordo le illusioni della vita.


Questo è il mood medio della l. d. e, con lei, della femminista pasionaria (capello lungo grigio all'Anselma Dell'Olio o corto alla Imma Battaglia).
Essenziale alla comprensione della tipologia dell'amante della Mitchell è un altro film, guardacaso inglese, guardacaso ancora con Hugh Grant, guardacaso che tira in ballo Joni Mitchell: Love Actually. La pellicola è il trionfo dei buoni sentimenti natalizi, del volemmose bbbène e dell'ammmmore che omnia vincit: insomma, da assumere a piccole dosi onde evitare coma iperglicemico. Tra i mille personaggi c'è Karen, interpretata da Emma Thompson, sorella di Hugh Grant (nella parte di un improbabile primo ministro) e moglie di Alan Rickman (per noi comuni mortali, Python in Harry Potter). Karen è l'unico personaggio che da questo baillame di scintillante amore e affetto natalizio uscirà a bocca asciutta. Come?
Il marito, che le fa le corna con la segretaria (ma uno stereotipo meno usato, no, né??), le farà trovare sotto l'albero una scatola che lei erroneamente crede contenga una collana che di nascosto ha visto acquistare da lui (regalo destinato alla sexy segretaria), bensì è..........un cd di Joni Mitchell.
Il messaggio è chiaro: "amore, sei un'ottima madre e una moglie stupenda, ma sei così noiosa!".
Confessare a un uomo che si ama Joni Mitchell equivale a dire:"sono stata appena lasciata dopo 10 anni di matrimonio" oppure: "ieri ho sotterrato mio padre", o ancora: "ho perso l'autobus, mi dai un passaggio?" (perché chiaramente la l. d. ha una paura folle di guidare), o peggio: "era la canzone mia e di.......... - nome del ragazzo di cui si è ancora innamorate - ".
Rivangare il passato, lucidare i ricordi, farli splendere, ponderare, riflettere, essere dilaniate dall'amore, indugiare, se possibile, sui dettagli che la memoria ha richiamato. Scrivere pagine pagine pagine, versi versi versi e ammorbare con la dolce litania de "l'ultima volta che......è stato tanto tempo fa".

La l. d. solidarizza con Karen e Fiona.


[continua...]

martedì 1 settembre 2009

Teorie dell'evoluzione

Studio (troppo) per questo mi ammalo.
Tra una settimana scriverò qualcosa, nel frattempo che dire?
Un assaggio.

Hanno detto di me: "è inutile che lo nascondi perché si vede", "te lo si legge in fronte. Sei anche figlia unica?", "ci stavo per arrivare. E' la tua naturale evoluzione dell'esser donna: non potevi che essere così".
Sono una lesbica depressa e faccio ironia sulle vite degli altri (ma anche sulla mia), filtrate dal mio piccolo osservatorio provinciale cronico.

Oggi, per esempio, sono stata inseguita da un tizio grosso-grasso-e-peloso con l'uccello fuori in un vicolo della mia cara città. Stando all'ultima citazione sopra, per lui l'evoluzione si è fermata dopo i 15 anni di vita: guidato dall'istinto e da desideri carnali, ha puntato la povera preda indifesa e ha sferrato l'attacco. E' l'ormone che parla per lui, anzi, che urla e che pretende a ogni costo di trovare sfogo.
Anche la preda ha urlato, correndo come non mai.

Nella mia mente solo una frase "le donne non lo farebbero mai".
E' quindi davvero questione di evoluzione?