venerdì 18 dicembre 2009

The most ordinary name

Il pop
ovvero:
perché gli Smiths non hanno ricevuto il giusto riconoscimento in Italia?




Forse perché sono sempre stati al di fuori del loro tempo.
Negli anni '80 facevano musica tipica dei '60 e per giunta si rifacevano a modelli americani considerati anche un po' kitsch. Ora, nei 2000, il loro linguaggio può risultare tremendamente anacronistico, inconcludente, zupposo. E' come andare a casa della nonna: è una visita che ci tocca, che ci annoia, ma che col tempo si apprezza, che non si dimentica. E' un sapore antico, d'altri tempi.
Per me gli Smiths sono una tappa necessaria, e non solo per capire che il suono di Manchester degli anni '80 ha forgiato Oasis e Blur (quest'ultimi unici a essere, a loro modo, considerati eredi dei nostri), ma anche per conoscere una scrittura eccezionale (beh, ho letto più volte che se ci fosse un Nobel per la musica, andrebbe per i testi a Bob Dylan o a Moz), un sound che guarda indietro, che rielabora, che è estraneo al post-punk inglese degli anni '80, che supera ogni catalogazione.
No, anzi, che può essere solo ricondotto al pop. E' musica di massa, musica popolare, non piegata su se stessa, cerebrale (come possono essere considerati i Radiohead che tanto amo), è pop brillantissimo, forse IL modello a cui si deve guardare.
E' lo scontro tra registri alti (richiami continui alla letteratura) e bassi (ironia, giochi di parole, atteggiamenti kitsch e a volte burleschi) che proietta gli Smiths in un luogo "altro". Un luogo che eccede ogni epoca, che trascende ogni linguaggio musicale, che è apparentemente incollocabile. Eppure. C'è sempre un "eppure" se si parla degli Smiths.
E' questo il dilemma: il non essere collocabili li ha, come ho già detto prima, direttamente dirottati verso una parola - pop, appunto - che abbraccia vari ambiti.
Credo che il paradosso della cultura pop (eleganza e kitsch, alto e basso, vecchio e nuovo) sia lo snodo centrale degli Smiths. E proprio per questo, in una società e in una cultura come la nostra, tipicamente a compartimenti stagni, questo paradosso è difficilmente coglibile ed assimilabile. E' insito invece nella cultura inglese e americanista, credo.

Il pop è uno scherzo, uno sberleffo fatto con estrema serietà. O, al contrario (o proprio per questo), è un messaggio ben chiaro, un avviso mascherato da divertissement. Beh, lo è anche la musica degli Smiths.
Un continuo rivelarsi e nascondersi, una grande burla. O un messaggio in codice. Sta a noi decifrarlo, sta a noi capirne la portata.

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