martedì 28 dicembre 2010

L'arte del sogno: Aphex Twin

(Aphex Twin - Matchsticks)

Questo non sta accadendo. Ciò che stai vedendo non può essere vero. Questa non è una pipa né tantomeno questo è un cuore, è un pallone aerostatico che vola nella notte, un cono gelato che si squaglia al sole. Parate di rinoceronti rosa sfilano in mezzo a edifici fatti di crema.
E quindi pterodattili giganteschi che mi puntano dall'alto e aerei che cadono e missili che esplodono in volo, treni che deragliano e camion che escono dall'autostrada sfiorandomi di un centimetro.
Case che crollano, ciechi che percorrono balconi senza ringhiere, stazioni di metropolitane diventate rifugi antiatomici, degrado urbano.
E nelle orecchie c'è chi dipinge la mia angoscia con staffilate armoniche, linee oblique color viola e giallo, rosso cardinalizio, mentre una massa d'un allucinato bianco mi scruta, inseguendomi, per poi strisciare lenta nella notte.

Weird creatures. Elfi balbuzienti che giocano a palla con i bulbi oculari di un rospo. Ippocampi lisergici impegnati a far battaglie di ping pong con minotauri. Biglie impazzite e multicolore che danzano davanti ai miei occhi. Guardie russe mangiacani, mentecatti ed ascensori, mendicanti emozionali rollano nudi in nuvole di muco rosa. Piogge e docce ad Aprile, crudelissimo Mangiafuoco, barbeebaffi e lattemmièle, nuotan tutti mentre io gioco (e sogno).



(Aphex Twin - Curtain)

La stanza del bimbo morto conservava, nonostante gli anni passati, il suo fascino inquietante. I genitori avevano deciso di lasciare tutto com'era: la culla dei primi mesi, il lettino in ferro battuto con le iniziali, i giocattoli sparsi sul tappeto, immobili tuttavia animati come ad aspettare un impossibile ritorno del padroncino, delle bretelle sullo schienale della seggiola e le scarpe in cuoio che il papà, pochi giorni prima dell'incidente, aveva commissionato al calzolaio di famiglia. Tutto appariva incorniciato dall'ampia finestra che dava sul cortile e metteva a fuoco, fino a poco tempo prima, il grande albero, in seguito abbattuto nel disperato tentativo di rimuovere il colpevole (suo malgrado) di un dolore atroce e inspiegabile come la morte di un figlio.




Perdita dell'infanzia, pallore grigioblù, stare sott'acqua nella vasca da bagno interi minuti come gesto di sfida, e scoprire un altro mondo. Bolle di sapone in solitudine e ritorni e speranze, gravidanze inattese, bimbi persi. Pace e sensazione di beatitudine, di librarsi in volo, abbandono all'aria. Orologi che vanno all'indietro e poi improvvisamente corrono, e vengono ingoiati da pesci palla che danzano a tempo un minuetto porgendoci le loro braccia focomeliche. Anelli di fumo e cognac a fiumi e occhi aperti che bruciano per il cloro, occhi chiusi per lasciarsi andare. Alla deriva, allo sbando, allo sbaraglio.


(Aphex Twin - Nanou 2)

E mi hai dato la mano. E noi che navighiamo. E nulla da temere, nulla di cui preoccuparsi, solo luci e colori e taciti consensi, e brillare nella nebbia come rugiada sulle foglie, come fili di perle tra gli stracci, e darti solo il necessario per sopravvivere mentre qualcosa avanza su di me, divorandomi. Non dici parole. Sprofondi in abissi perenni come avevo predetto.


Inquadratura dall’alto, giornata piovosa, b/n tipo film di Wenders.

Una voce che mi riecheggia in testa dice: “se ci rivedremo, mi saluterai e non ti riconoscerò allora capirai che è stato tutto solo un sogno e che il momento più bello della tua vita è stato solo un sogno”. La incontro in una via uggiosa e non mi risponde. Una giostra e una canzone col carillon quasi anni ’30 simile a Brecht/Weil, mi ricorda “tanti auguri a te”.

Mi alzo, come se sapessi che mi devo svegliare, come se davvero volessi ricordarmi quel sogno ed esclamo ad alta voce “pazzesco, ho fatto il sogno più bello della mia vita”.

Perché nel sogno sapevo benissimo che c’era stata una storia d’amore, attimi di felicità e di pura gioia, ma ripensandoci, ricordandomi e ripercorrendo il sogno, mi pareva che quei momenti – sottintesi nel sogno, dedotti in un secondo momento – fossero solo un vuoto di morte, di abisso, di assenza.

E quindi mi rendo conto che quel sogno è terribilmente triste, quasi un presagio, quasi una profezia. Ho paura di morire. Piango. E dico “no, era il sogno più triste che abbia mai fatto”.

La struttura del sogno è pari alla mia reazione da sveglia. Mi rendo conto che ciò che è “felice, bellissimo” è solo un sogno….e quando lo realizzo scoppio a piangere, sto male, mi sembra di morire.


(Aphex Twin - Kesson Daslef)


p.s. mi rendo conto di aver fatto un torto enorme ai brani più drum'n'bass, acidi e techno di Aphex Twin. Consiglio quindi l'ascolto di Selected Ambient Works 85-92 che contiene tra l'altro il pezzo che m'ha ispirato a scrivere questo post, We are the music makers.

martedì 21 dicembre 2010

Sul letto corto

Uniti tutti i post precedentemente cancellati. Con integrazioni.
File .pdf scaricabile cliccando qui.

sabato 18 dicembre 2010

Recensione: Syd Matters - Brotherocean (2010)


Ascoltare un album la prima volta e rimanere incollati a ogni singola nota m'è successo poche volte. Ricordo quando mi scontrai con If you're feeling sinister o Ok Computer e più recentemente con Teen Dream (ormai è passato un anno) o Music from the Penguin Cafe: l'entusiasmo e lo stupore erano così forti da farmi schiacciare play ogni volta che arrivavo alla fine.
Brotherocean è uno di questi dischi: 40 e passa minuti che si vorrebbero prolungare per ore fino a farli divenire colonna sonora costante di tutte le immagini che passano sotto i nostri occhi: assorbire e introiettare quei suoni e quelle atmosfere per poi approdare ad uno stato di incoscienza simile alla couch melodia.
Ancora non mi so spiegare il motivo di questa sensazione di smarrimento e rapimento che m'avvolge. Forse mi pare d'essere a casa: echi di Radiohead e Grizzly Bear (armonizzazioni vocali e stratificazioni sonore e inoltre una costante ed elegante attitudine folk e un'ottima capacità di arrangiamento), di Beck (la voce, forse?), e ancora Beach House (ci sento lo stesso calore - non ho un altro termine migliore per definire questa percezione), Fleet Foxes, Midlake, Mum, ma anche Travis. Le soluzioni melodiche non sono mai scontate, tutto è suonato in modo eccellente e con classe. La concatenazione delle tracce è naturale, anzi, sconsiglio di spezzettare l'ascolto: il movimento fluido che attraversa ogni brano obbliga l'ascoltatore a non interrompere l'esperienza musicale, quasi a voler mantenere intatta quell'atmosfera che Brotherocean riesce a creare con soli 10 brani.

Dal punto di vista del coinvolgimento emotivo siamo ai livelli di Teen Dream (mio disco del 2010 insieme a Cosmogramma di Flying Lotus).
Ottimo, non c'è che dire: 8.

Un assaggio:

Syd Matters - Hallalcsillag


Syd Matters - We Are Invisible


Syd Matters - Hadrian's Wall


p.s. ah, sono francesi.

venerdì 10 dicembre 2010

New order

....si riparte da qui. Il blog avrà una cadenza settimanale. Niente manfrine o paturnie, basta storie di vita vissuta condite con lacrime, stop alle doppie punte adolescenziali o palpitazioni incontrollate per lo stesso sesso.

Si parla davvero di altro. Si sfruculia nella vita di illustrissimi (s)conosciuti e nella loro arte. Si va altrove, si guarda oltre per non soffermarsi su se stessi.

O almeno, io ci provo.


Partiamo da un epilogo, scelta apparentemente paradossale. Eppure prima di imboccare una nuova direzione bisogna chiudere, ponendo un punto fermo, quello che si aveva iniziato. E quindi....

adieu adieu adieu adieu vecchio mondo,
ai ricordi del passato
ad un sogno mai sognato...

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Epilogo

RIVOLUZIONI FRANCESI

Dopo di te, 1815, Congresso di Vienna.

Dopo di te dovrò ridefinire la mia storia. Ridisegnare la mappa del mio corpo. Ripristinare un equilibrio che garantisca una veloce ripresa.

Napoleone in poco più di venti anni rivoluzionò l'assetto geo-politico europeo. A te sono bastati solo 5 mesi per segnare un solco così profondo da stabilire un “prima” e un “dopo”.

Prima, un freddo ordine reazionario di stampo illuminista che vedeva l'uomo come protagonista costruttore della storia. Poi, un doloroso impatto con l'indole rivoluzionaria, ribelle, recalcitrante del 1789 e la forza storica che trascende la volontà umana, la bieca ragione, e che si ricongiunge a un disegno divino. Un qualcosa che ha scavalcato la mia capacità di raziocinio come il fiero Napoleone ha valicato il Gran San Bernardo dipinto da Jean Louis David, fermo e deciso, tuttavia impetuoso, e che ha scaldato il mio cuore come Bonaparte ha incendiato Mosca durante la campagna russa del 1812.

Prescindere dall'intervento napoleonico nella storia europea appare pressoché impossibile. Eppure la strada intrapresa durante il Congresso di Vienna fu sin da subito chiara: ritornare a quell'ordine autoritario preservando “ciò che di buono era stato realizzato” - ed è quello che effettivamente avvenne nell'età della Restaurazione con il ripristino dell'Ancien Régime epurato da qualsivoglia idea rivoluzionaria. Leccarsi le ferite, incerottarsele, cucire i punti e cercare di camuffare le cicatrici: quello fecero le potenze sovrane duecento anni fa.

Trafalgar e Austerlitz, 3 Maggio 1808 di Goya, Waterloo e lo Zar Alessandro I di Russia sono cose che non si seppelliscono. Causano ancora oggi un certo brivido a pronunciarle.

E quindi come potrei dimenticare Pratile, Messidoro, Termidoro, Fruttidoro, Vendemmiaio passati insieme? Anche Brumaio potrebbe essere nostro.

Ora non posso né devo mettere la mia rivoluzione francese nel dimenticatoio, né sedare impeti liberal-progressisti, né auspicare un ritorno alle origini. Mi trovo nel mezzo di una continua risacca, un movimento che oscilla tra quel prima e quel dopo facendomi sentire nostalgie opposte.

Ancora incapace di rielaborare le furiose spinte giacobine, vivo tesa in un tumulto. Cosa sono ora?

Una terra desolata, devastata dai colpi inferti da una mano straniera. Un corpo con confini labili. Non più governabile. Così profondamente cambiata che non riuscirà più a mutare volto.


lunedì 4 ottobre 2010

Ottobre, di nuovo

Avere mezz’ora di tempo libero, andare in giro senza meta. Avere sotto i piedi il ciottolato di Città Alta, alzare leggermente la testa e sentire il toc rassicurante di una padella sul fuoco che proviene dalla finestra di una vecchia casa. Una sensazione piacevolmente domestica mi assale – come quando si sente un rumore che appartiene anche a te, un odore che fa parte della tua vita, una breve ma intensa impressione che appena cerchi di catturarla si ritrae, fugge via, lasciando una scia nell’aria che assomiglia a un dejà vu.

Avere dei brividini di freddo in una via ombreggiata, quindi spostarsi di pochi metri per essere baciati dal sole. Da quassù le foglie arancioni paiono fettine di mela caramellata, appese ai rami da un sottile filo di zucchero.

Nelle orecchie parte un brano di bossanova – lento, dilatato, distaccato, il tempo svanisce. Tutto è in bianco e nero, le persone parlano ma non hanno voce. Sono in un film anni ’60 e fumo lascivamente una sigaretta col bocchino. Ora sono Greta Garbo coi pantaloni e lancio sguardi algidi. Il teatro ha scintillanti lampadari accesi anche di giorno. Il fumo disegna nell’aria spirali e cerchi, arabeschi e frecce. Questa musica crea effetti speciali.

Mi lascio alle spalle ciottoli e foglie, penso a te, sorrido.


On air: Stan Getz&Charlie Byrd - Desafinado

giovedì 30 settembre 2010

Quattro versi e poco più

E guardo i tuoi occhi che sono stracci nel volto

stracci zuppi e mezzi

pezzi di carta straccia

panni dimessi, smessi

simil-libertà, ali.

Iride umida, distacco.

Ti guardo dal basso e sono ombre,

dall'alto sfere, comete,

come te son radici, fradici.


On air: Akron/Family - Franny/You're human


sabato 18 settembre 2010

...e bere cioccolata fumante su un tetto, in pieno autunno


Mi sono innamorata. Di un libro: s'intitola Tetti di Parigi, acquerelli, disegni e poesie di e sulle case e palazzi della capitale francese. Sfogliarlo è come tornare là.
Perché a Parigi, nelle notti di fine agosto, ci sono 9 gradi. Intabarrata come una musulmana (3 felpe, due asciugamani, doppio paio di calzettoni) ho dormito in un furgone, ai bordi di un boulevard.
Alle 6 sentivo la città svegliarsi. Un clochard, meno fortunato di me, tutto intirizzito dal freddo della notte, si tirava su, a mo' di copertina, il suo pezzo di cartone. Ricche vedove flanavano alla ricerca di un caffé. Un marito svogliato e stanco portava giù il bassotto per il bisogno mattutino. Figurine ordinarie, e per questo magnifiche, separate da me solo da un finestrino.
Poi il sole finalmente mi scaldava e tornavo a dormire.

lunedì 6 settembre 2010

Somewhere

mercoledì 25 agosto 2010

Heart of chambers

Heart of chambers è un’espressione che non esiste.

In ambito medico si usa “heart’s chambers” per indicare le quattro camere (o cavità) cardiache, atri e ventricoli (sinistri e destri). Heart of chambers, quindi, appare come una storpiatura simile agli errori che fanno i bimbi prima di iniziare la scuola: “il pavone della coda”, “l’acqua del bicchiere”, oppure ancora “la casa della porta”.

Frasi insensate, ma incredibilmente piene di fantasia, di un forte potere evocativo che travalica la barriera realistica per addentrarsi in una dimensione di pura sinestesia, di metaforizzazione e simbolismo. Parole come immagini, mi ha detto Victoria Legrand dei Beach House – parole che fluttuano, che si manifestano come intuizione visiva che esula dalle convenzioni linguistiche, dalle rigide corrispondenze di significanza.

Creando l'espressione “cuore di/delle camere” (o forse semplicemente trascrivendola dopo averla immaginata o sognata - si sa, le idee non appartengono a nessuno, ma vengono colte in rari momenti di contatto con un mondo a noi altro) Victoria voleva cercare di farci arrivare qualcosa di nuovo, d'altro, di eccentrico alla lingua.

Cosa è perciò questo “cuore di camere”? Focalizzandoci sulla specificazione “di camere” che determina il soggetto “cuore”, si può procedere a tentativi, o come diceva Freud, tramite associazioni di idee. Il termine “camera” fa venire in mente la più comune idea di “casa”: in effetti, applicando il principio analogico, “cuore” e “casa” sono termini molto simili, quasi interscambiabili. In maniera più particolare, “cuore”, in ambito medico, ha una terminologia che può ricordare il concetto di casa: pareti e atrio (per non parlare di camere). Più generalmente la casa è il cuore di una persona – lo spazio degli affetti, un ambiente che evoca emozioni e ricordi. Viceversa quando si è innamorati di una persona e si sta con lei, ci si sente “come a casa”, a proprio agio.

Intrecciando tutto ciò non è difficile capire cosa ci voleva dire Victoria: “heart of chambers” può essere uno spazio immaginario delle emozioni, ma allo stesso tempo indica un piccolo, angusto ma intimo, quasi sacro, ambiente, il cuore della persona in cui vorremmo farci spazio e, come in una casa, entrare nelle sue stanze, esplorare le sue camere.

E quindi il testo ci appare così:

....Ti ho trovato rintanato nel tuo cuore di camera, solo, che sfogliavi un libro con le figure e avevi un umorismo che nessuno capisce più. Ti ho trovato in quello angolino ed eri stanco e già morto dentro, vorresti guidarmi? Vorrei essere quel qualcuno che riesca a insegnarti ad amare di nuovo.

Sono innamorata e vorrei che tu mi facessi entrare.


mercoledì 11 agosto 2010

A kind of magic


"Embrasse-moi" in francese vuol dire "baciami" ma anche "abbracciami".
Paghi uno e prendi due, all inclusive. E se volessi distinguere l' "abbracciami" dal "baciami"?

"Embrasse-moi" è l'espressione che userei quando partono le prime note di A kind of blue di Miles Davis. Nel senso: abbracciami, baciami, circondami, avviluppami, penetrami, qui in questa notte senza stelle cadenti, senza amore e quindi con troppo amore, ruvida, morbida, liscia, grinzosa musica nervosa e distesa, contratta e rilassata.
Amami almeno tu.


On air: Miles Davis - All Blues


il disegno è di Enzo Furfaro

giovedì 29 luglio 2010

Come Les Amants di Magritte

The Narcoleptic Dancers

Previo consiglio, ecco un duo francese-olandese-che-però-canta-in-inglese nuovo di zecca composto da fratellastro trentenne e sorellastra ventenne (dalla storia incredibile e affascinante che merita una lettura) che fa del buon indie folk-pop.
I richiami sono tanti: dai Belle and Sebastian ai Moldy Peaches, un po' di Vaselines e di CocoRosie e un pizzico di Carla Bruni che canta 1, 2, 3, 4 di Feist.
Prendete una giornata di sole, un giro in bicicletta, due foto con la Diana, dei colori pastello, un foularino a scacchi bianco e rosso e una spremuta di arancia. Lo scenario indie-bucolico perfetto.


Qui per ascoltare velocemente due/tre canzoni dal loro EP, Not Evident. La canzone omonima è deliziosa, quindi, suvvia...

venerdì 16 luglio 2010

Sei, quasi sette

Carrellata in avanti.
Figurine musicali di un mezzo anno anormale.





ascoltata durante un Aprile sonnecchiante




per Gennaio e Luglio, per la prima volta che li ho ascoltati e per la loro semplicità




per Maggio, il mese prima della bufera




per Giugno.





per Marzo che mi è passato accanto con la velocità di un battito di ciglia, perché la primavera non esiste più





per Febbraio e per il freddo


e questa per il concerto che andrò a vedere tra pochi giorni:


un abbraccio

mercoledì 26 maggio 2010

Leo, è questo che siamo? - #1/07

C’E' QUESTO STANOTTE


Due distese di bianco spezzano l’oscurità,
una a terra, immobile, ricopre le forme,
l’altra in continuo movimento penetra nella notte, si ritrae.
Il gelo ha ricoperto i vasi su questo terrazzo dove non andiamo mai.
Il vento piega gli alberi e tende i fili dove nessuno stende più la biancheria.
Ho scavalcato il tuo corpo, scomposto nel sonno
e nella mia parte di letto mi sono avvolto nel tuo calore.


Alla proposta di Gerry di spararci un film di Lynch avevo riso: alle 4 di notte, senza occhiali e con accanto te Mulholland Drive mi sarebbe parso un ammasso di forme e di colori.
Facevo finta di avere sonno o forse ne avevo davvero? Avevo ancora addosso quella serata, appena finita o che probabilmente non avrebbe mai dovuto finire. Le orecchie mi fischiavano, nella mente ripassavo il nostro bacio alla fine di Dentro Sharon, mentre mi accorgevo, con ribrezzo e paura, di un livido enorme sul braccio, come un tatuaggio. Il tuo profumo era ancora più forte ora che avevi tolto il maglione.
La situazione in sé era irreale: Gerry sul divano, stravaccato e chiaramente brillo, rollava una canna (credo ci avesse impiegato una buona mezz’ora), noi, vagamente esaltate dall’atmosfera così confortevole che si era creata, cercavamo di seguire ogni minimo discorso, anche se la mente era altrove, prigioniera dei pensieri che viaggiavano, morivano sul nascere e si concludevano con un imbarazzato sorriso tra noi, tu che abbassavi lo sguardo, le guance rosse, e io, impegnata a trovare la tua mano e a piazzarla strategicamente, insieme alla mia, dietro i nostri corpi.
La tua mano nella mia. Una bolla di paradiso, una fetta di felicità pura, il nostro piccolo segreto…
Mi sentivo come se fossi stata buttata improvvisamente in quell’istante preciso, ero scollata, e anche se ero lì, perché lo percepivo dov’ero, una parte di me andava nella direzione opposta, lacerandomi, come se stessi vivendo una scena di un film che so a memoria e, nonostante ciò, mi aspettassi da un momento all’altro un cambiamento, un colpo di scena…
Il tuo corpo, steso sul materasso d’emergenza che Gerry e gli altri coinquilini adibivano a letto per gli ospiti, era calmo, placido. Per quella serata Lynch era davvero troppo. Mi sentivo girare un po’ la testa, tu avevi piazzato il tuo capo sulle mie gambe, forse anche tu sopraffatta da tutto?
Il televisore ci offriva immagini ad intermittenza, repliche di televendite, film pseudo intelletual-erotici su Raitre, video con colori così sgargianti da costringermi a chiudere gli occhi…Gerry non stava sullo stesso canale più di trenta secondi, creando un patchwork modernista e molto dada di figure urlanti, note e ritmi diversi e dissonanti, campi e controcampi, labirinti visivi dove noi, troppo stanchi per seguire una sola trasmissione, ci perdevamo, sguazzavamo, e poi ritrovavamo un senso in tutto…un senso, sì, un senso…
Mi lasciai andare sul materasso, e spensi la canna. L’effetto non tardò ad arrivare. Eri stata tu a farmi fumare, avvicinandomi la stizza alla bocca, per poi fumare tu, e poi io ancora. Gerry non era stato particolarmente generoso a lasciarci il pezzo finale, buono solo per due tiri a testa; intanto era collassato sul divano e non sembrava dare segni di volersi alzare e andare in camera. Un attimo, ci aveva annunciato, il tempo di ripigliarsi. Il tempo medio di ripiglio può essere lento, soprattutto dopo quella bottiglia di rosso che avevo portato…Io non contavo neanche più il tempo, mi sembrava di essere lì da 2 minuti come da 2 ore. Hai freddo?, ti avevo chiesto. Tu mi fissavi negli occhi, mi scrutavi, assorta, beata, nel nostro nirvana, e il sonno era lì in agguato, a ricordarci che non avremmo potuto reggere un’altra ora senza addormentarci.
Sotto le coperte, con Gerry accanto che aveva iniziato un viaggio astrale, mi sentivo una clandestina che aveva rimediato un letto di fortuna, una di quei cinesi che dormono in 15 in una stanza. Scorgevo tra le tende il buio blu, che iniziava pian piano a rischiararsi, lentamente.
E ancora quella sensazione di impotenza mi rendeva simile a una marionetta, nelle mani del caso. Quella notte era la nostra notte. Quante erano le possibilità di dormire ancora insieme dopo un concerto dei Verdena? Vivevi a 3 ore da me, ora eri qui. Eravamo una di fronte all’altra, il mio viso che tendeva verso il tuo. Mi sono avvicinata e ti ho baciato, piano, per non farci sentire, ho il brutto difetto di fare rumore quando bacio, lo so, dovevamo fare piano perché poi Gerry si poteva svegliare…
Tu eri lì, accanto a me, col mio stesso sguardo sognante e un po’ incredulo.
Gerry non si svegliava più, pareva piuttosto in coma. Mi hai sussurrato chiaramente che lui se ne doveva andare e mi hai tirato una gomitata nello sterno. Ahi, no, no, non ce la facciamo a dormire qui nello stesso materasso, Gerry, svegliati, dormo sul divano, vai in camera, ti stai addormentando qui…
Tra un borbottio e l’altro finalmente si è alzato, augurandoci una buonanotte impastata di sonno e di sbronza. Ho chiuso la porta e mi sono messa sul divano. Che fai?, mi hai chiesto. Dormo, no???!!!, risposi con un sorriso e mi feci cadere, scivolando verso il nostro materasso.
C’è questo stanotte.

∞∞∞∞∞

Alba. Insieme di colori roteanti. Giostra di sapori esotici. Il mio tramonto, la nostra casa, questo rifugio. Quest’alba è il nostro tramonto.

I minuti che si susseguivano erano piccoli spilli nella nostra pelle, sui nostri corpi nudi e stanchi, ubriachi di sonno, esausti. Osservavamo l’arrivo della luce e, con essa, di un nuovo giorno che avrebbe segnato la tua partenza. Avvolte nelle coperte ruvide come carta vetrata eravamo simili a bozzoli di farfalle, pronte a spiccare il volo. I coni di luce che si facevano strada tra un palazzo e l’altro illuminavano a tratti i nostri visi che si guardavano, fissi, come a voler fermare quell’attimo, quei secondi di niente, che parevano davvero vuoti, come se non facessero parte del tempo. Potevamo fregarlo?
L’orologio sulla parete era avanti di 20 minuti ma Gerry ci aveva detto di non farci caso, che non era affidabile, perché a volte si fermava. Poteva essere il nostro complice. Fermati, lancetta, trai un sospiro per una volta e non camminare più! Dai vita a questo momento fuori dal tempo, rendi possibile un amore senza fretta, che non si ciba di minuti! Il nostro non è un amore avaro di tempo, ma che lo regala agli altri, a quelli che sono sempre in ritardo…Il tempo non fa per noi perché non ci ascolta e non è dalla nostra parte. Fermati, fermati!
Non pareva ascoltarmi: imperterrita, proseguiva per la sua strada.
Erano le 7, il campanile ce l’aveva ricordato.
La luce continuava a irrompere nella stanza. La stanza, in realtà una sala, era pregna dei nostri odori e la luce pareva amplificarli, unificando i miei e i tuoi, in armonia, come una sinfonia. Ti sei alzata e hai aperto la finestra, facendo entrare un’arietta piacevole tipicamente primaverile. Non faceva più freddo ormai, di notte, avremmo potuto al limite dormire all’aperto, magari in Città Alta…
Intanto nella stanza potevamo ammirare il tavolino su cui c’erano resti della serata: mozziconi spenti, tappi di bottiglia, bicchieri di plastica, plettri…nulla era nostro lì, ma cercavamo di fissare ogni piccolo particolare per poi renderlo privato e personale, affinché quella stanza fosse un pezzettino anche nostra. Ma più ci sforzavamo di conservare ricordi, più tu mi guardavi con occhi pieni di soddisfazione e di malinconia, di paura, forse, sì, di timorosa attesa.
Eravamo solo di passaggio lì. Ogni tentativo di impossessarci di qualcosa era inutile. Neanche tu eri mia, in fondo, anche se io desideravo essere tua. Dopo quella notte non avremmo potuto parlare come prima. Ora c’era un filo che mi collegava a te. Ma in quel momento, nude e apparentemente felici, ci siamo rese conto di stare nel mezzo di un posto che ci aveva accolto per caso. Noi, come superstiti, su un’isola deserta, e fuori, il nulla che, implacabile, ci attendeva, pronto a risucchiarci e dividerci. Perché senza di te mi sentivo già un vuoto dentro.
Ci siamo baciate, giurandoci di amarci, hai pianto, io avevo i brividi, allora ti ho stretta a me, ho baciato le tue lacrime, i tuoi occhi, il tuo viso, per calmarti, ma come facevo se anch’io mi sentivo grigia? E ti ho ascoltato mentre mi parlavi di te, così simile al mio passato, e io, allibita, non facevo che fissarti, attenta, senza parole. Volevo che tutto fosse molto più lento.

La polvere si depositava finemente sul pavimento mentre cercavamo i nostri vestiti.
Ce ne siamo andate senza far rumore. Ci siamo immerse nel rumore di una mattina di fine marzo, nel rumore del tuo treno che mi strappava da te. Non riuscivo a scorgere i rumori fatti da noi.
Era come un film muto. Le lacrime scivolavano dai nostri occhi senza emettere alcun suono.

martedì 18 maggio 2010

Suonala ancora, Ian...


lunedì 17 maggio 2010

(C)ucci (c)ucci, sento odor di...

In un mondo che sempre a dieta è, il mio sogno erotico sei tu.

Tu con quell'accento sardo da Benito Urgu in gonnella, tu con quella voce calda e decisa, talmente forte da poter richiamare, di sera, la Sandrina e la Iole che stanno pascolando placide. Con quei capelli neri come la pece, sempre lucenti, che t'invidio tantissimo. La pelle morbida e le guanciotte da Alvin Rochenroll, la bocca piena e matura, gli occhi come due liquirizie Amarelli di Rossano Calabro. Con quell'amarezza sconsolata verso l'universo maschile, tuttavia con quella speranza di poter trovare un uomo decente che riesca, esattamente come me, a guardare oltre i chili di troppo, che a te, sì, stanno benissimo.

Mi permetto un consiglio.
Geppi Cucciari, provaci con le donne.

giovedì 6 maggio 2010

Teen dreams

qui

domenica 2 maggio 2010

Logica fuzzy

Tutte le fotografe sono lesbiche.
Tutte le lesbiche sono fotografe?
Tutte le lesbiche sono bugiarde.
Io sono lesbica.

lunedì 26 aprile 2010

Hey ho, les go!



lunedì 12 aprile 2010

Virate/virago, ovvero: cosa non si fa pe' campà una serie in più

In casa mia la tv è occupata sempre da mio padre: CSI (Las Vegas, Miami, New York), Criminal Minds, Cold Case, NCIS, House, Bones, Closer, Grey's anatomy: non gliene sfugge uno. Quando è fuori casa lascia degli orrendi biglietti melensi a mo' di lista della spesa:

mi registrate, se non disturbo,
X alla ora Y sul canale Z

etc etc etc

baciotti


Baciotti mi fa sussultare ogni volta.
S'è rincoglionito col tempo; una volta era tutto lui e Tarkovskij, lui e Mahler, lui e il nazionalsocialismo, lui e Wagner, lui e Karl Kraus, lui e Barry Lyndon, lui e Hieronymus Bosch; ora ascolta i Coldplay e guarda telefilm ammmmeregani.
Non sopporto molto le fiction - a parte qualche significativa eccezione.
Anni e anni di visione mi hanno fatto arrivare a questa piccola grande verità: quando il telefilm rischia di non piacere più o quando un personaggio femminile non è molto simpatico, una mossa astuta è la lesbo virata.

Presente in OC (indimenticabili Marissa-Alex)



e il loro bacio guardachelunaguardachemare. Lesbiche come è vero che a me piace la fisica quantistica, formavano una coppia da urlo. Alex, finta camionista con tanto di tattoo aggressive (una farfalla sulla schiena), seduceva la bovghese Marissa a suon di rum e pera non sapendo che la cava vagazza era già un'alcolista anonima dalla tenera età di 12 anni. Josh Schwarzt, l'ideatore della serie, ha smentito che la lesbo virata fosse stata attuata per meri scopi commerciali e d'Auditel.
La replica della critica è stata tranchante: una pernacchia con tanto di sputazzo.

Molto più realistico, invece, il naturale fluire della sessualità della capaprontosoccorso Weaver in ER. La dottoressa, che per anni ha girato con una stampella - chiaro sostituto fallico, direbbe la mia professoressa -, s'è scoperta dell'altra sponda dopo una militanza latente.

Single de ferro, donna incazzosa e fredda, scrupolosa lavoratrice, finalmente si rivela lesbica nella settima stagione in cui s'innamora, ricambiata, di una psicologa gay che molte di voi conosceranno per aver interpretato l'amante di Gia - con quella simpatica della Jolie. Poi s'innamora di una vigilessa del fuoco che tragicamente muore; Zoppetta, quindi, combatte con le unghie e coi denti per l'affidamento del figlio avuto da lei.

Ma ci vogliamo dimenticare del bacio tra Calista Flockhart e Lucy Liu in Ally McBeal?

Non ricordo assolutamente la situazione né l'atmosfera, ma 'sto bacio al cardiopalma concluse la puntata e ebbe pure dei postumi: Ally e la cinesa erano alquanto gelose dei rispettivi partner.

Una menzione speciale per la versione all'amatriciana di ER, il mai troppo compianto Terapia d'Urgenza, che vanta non solo il record di romanismi in un ospedale di Milano, ma anche quello del primo telefilm italiano in Rai con una coppia lesbica. Al centro la tormentatissima storia tra Marina Ranieri del Colle (indimenticabile la pronuncia della cucula - chissà che fine ha fatto) e la sosia di Michael Jackson in gonnella, l'infermiera Esther. E, sulla stessa falsariga, RIS mette in scena una cinesa lesbica. Per la serie: se non l'accettate perché è orientale, ora la amerete perché gay. Un ragionamento che fila, applausi agli autori.

Gran carrellata finale medico-sanitaria con ritorno di fiamma di Alex di OC (sempre grate saremo alla madre di Olivia Wilde) che compare puranco in House, ove interpreta una dottoressa confusa e alquanto bisessuale; e ancora, coppia lesbica in Grey's anatomy con donne molto più accessibili e realistiche. [fonti: mio padre]

Ma ora.
Arriviamo al telefilm che seguo da 4 anni con mamma: Desperate Housewives. Che sono cotta di Teri Hatcher da quando vedevo Lois and Clark: Superman, beh, lo sanno anche i sassi. DH ha avuto alti e bassi, ma ha sempre colpito per i suoi dialoghi frizzanti, situazioni volutamente surreali, grande immaginazione. Alcune scelte di sceneggiatura sono stati dei veri e propri colpi di genio, ma mai come il seguente.

SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER (sesta stagione in corso)
Non sono una che si guarda i telefilm in lingua originale (tranne per L word, la7 non lo mandava più e poi si sa, Jenny era morta e dovevo sapere chi l'avesse uccisa), quindi sto seguendo la sesta stagione di DH scaricandomi le puntate da FoxLife Italia. Per ora sono fermi col doppiaggio alla tredicesima puntata, tra un mese riprenderà; in Ammmmerica sono alle 19esima e se ne prevedono ancora 4 o 5.
Detto ciò: Katherine, la rossa innamorata di Mike Delfino e ricoverata in una clinica psichiatrica, era un personaggio che rischiava di stare antipatica poiché indicata come l'antagonista dell'eroina Susan Meyer/Teri Hatcher.
Gli sceneggiatori, di un gradino sotto a Lost (mai seguito, peraltro, ma ne ho sentite di cotte e di crude), hanno avuto 'na bella penzata: perché non la facciamo diventare lesbica?
Tutto ciò dovrebbe succedere nella sedicesima puntata con tanto di scena vagamente hot.
FINE SPOILER FINE SPOILER FINE SPOILER

Perché la lesbica è un perfetto MacGuffin: conferisce dinamicità alla trama.
Due donne che si baciano piacciono e non disturbano. Gli uomini esultano, le donne comprendono e magari s'incurioscono. E i produttori ringraziano.

E quindi, arriviamo al punto.
Abbiamo un telefilm in Italia che ricalca il ritmo frizzante delle sit-com americane, condensa le meglio trovate musical-oniriche di Ally McBeal e Scrubs, con battute perfette e recitazione brillante: si chiama Tutti pazzi per amore. La seconda serie sta andando molto bene, non sembra mostrare segni di cedimento. Ma mi chiedo, quando ci sarà la tanto attesa lesbo-virata?
E, soprattutto, chi coinvolgerà?
I personaggi femminili abbondano e sono parecchio interessanti. Io punto tutto, se ci sarà una terza serie, sul personaggio di Maya, interpretato da Francesca Inaudi.

Piccola curiosità: un'attrice, Camilla Filippi, ha prestato voce ed interpretazione in un brano del primo disco dei Baustelle, Cinecittà.


Ed ultima cosa, poi non parlerò mai più di telefilm: Three Rivers e il post-Shane. Katherine Moennig ha fatto parte di una sfortunata serie medica (alla Terapia d'Urgenza, 'nzomma) sospesa in America a novembre per bassi ascolti.
La cosa che si chiedevano in molti, tra cui AfterEllen, era questa:

"When is a new hairstyle not just a new hairstyle? When it’s the hairstyle for the most obsessed about former fictional lesbian hairstylist in all of the universe".

Appunto: Shane, ops, Kate ha cambiato pettinatura. Il risultato? Qui.
Ancora tanta robbba, davvero. Stesso sguardo scazzata alla Shane, camminata penzolante alla Shane, e le sue mani! Difficile, se non impossibile, uscire da un personaggio che ha segnato lo stile - e che ha fatto scuola tra tutte le lesbiche del mondo.
Katherine Moennig rimarrà imprigionata in Shane esattamente come Calista Flockhart aveva paura di essere ricordata come Ally McBeal. Allo stesso modo io rimarrò una lesbica depressa, con la sola differenza che la mia non è una parte.

sabato 10 aprile 2010

Partenze, arrivi, ritorni, addii e poi ancora...

Non l'ho ancora visto, ma il solo trailer mi ha commosso.

sabato 3 aprile 2010

Parce que...



M'imbarazzo anche davanti a una videocamera,
Il look sfattone mi è stato imposto dalla stylist di fiducia. Dice che piace. Che piace alla gente che piace. Mi piace la gente vivace, mi piace la gente sincera ma anche quella che mente; penso che praticamente sia bella la gente insana di mente.

p.s. in doposbronza.

sabato 20 marzo 2010

Strani amori che


Cose belle:
  • fare il controcanto a Thom Yorke e Stuart Murdoch
  • l'ultimo disco dei Mariposa (qui, qui e qui subito)
  • lo spruzzo di cacao sulle labbra e sul naso dopo aver bevuto un latte macchiato
  • Memory Tapes e gli anni '80 rivisitati
  • gli album di indie-folktronica dalle copertine colorate e pacate, come a suggerire un mondo fatto di camerette di adolescenti nerd con la chitarra acustica, strani strumenti a fiato, giocattoli e carillon e il Mac (Department of Eagles, Tunng, Trouble Books)
  • il Philadelphia che è 'na droga
  • le betullacee
  • una videocamera scadente che fa foto artistiche in b/n
  • certi gruppi dal sapor anni '60 (The Clientele e Caribou)
  • mia cugina 12enne che sente per la prima volta la parola "lesbica" in un contesto penoso (la sua compagnia di danza ospite di un programma televisivo di Sky in cui due tizie si strusciavano e nei fuori onda hanno usato l'orrendo termine). Mi chiedo che effetti cacofonici avrà notato e che idea si sarà fatta. Se ne renderà conto continuando a fare danza - un ambiente dall'alto tasso di biodiversità.
  • mi sento un uomo formica tra due enormi polpastrelli di gomma/ma il dio pantofola mi accoglierà nella sua suite reale/mi si slacciano sempre le stringhe della vita.

venerdì 19 marzo 2010

era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola


mercoledì 17 marzo 2010

Bonjour tristesse!

Beccare su Facebook foto di un anno fa in cui è taggato un amico e casualmente è presente anche il tuo ex. Sfogliare tutte le foto di quell'album non solo per individuare frammenti di lui, ma anche per convincerti che la sua nuova fiamma ha in più, rispetto a te, solo una terza abbandonante di reggiseno. Appurare che ora vivono a Barcellona assieme, che lei è figlia di un aristocratico belga che possiede due castelli, che presto avranno un figlio (previsione del 2010).
Ricordare l'ultima volta che l'hai visto: a un tuo concerto, un anno fa. Farsi del male riportando alla memoria la sua mail in cui ti comunicava che non ti voleva alla sua laurea (tu che gli hai fatto passare gli ultimi 6 esami dandogli tutti i tuoi appunti).
Sapere che non ti andrà mai giù.


Rincorrere un treno che parte con chitarra al collo e occhiali da sole dopo aver cantato ubriaca una tua canzone alla ragazza che ami. Vedere che lei ti saluta e tutti i passeggeri ridono. Tornare indietro col pensiero di tre anni quando il treno stava per partire, tu che le dai tutta la confezione di Bucaneve che tieni in borsa anche se è il tuo pranzo/cena.
Sapere che sarai l’unica ragazza della sua vita, che lei non sarà mai tua, che questa storia è finita ancor prima di iniziare, prima ancora della sua testa sulla tua spalla, prima ancora dei suoi occhi nei tuoi, prima ancora di quel lunedì pomeriggio di Marzo in cui vi siete incontrate per caso.

sabato 13 marzo 2010

Canoni retro-futuristi: Telephone, il nuovo video di Lady Gaga

Lady Gaga ha un nome di battesimo francamente imbarazzante: Stefani Joanne Angelina Germanotta. Pare uscito da Quei bravi ragazzi di Scorsese o dalla trilogia del Padrino. No, con un corredo genetico così pizzaspaghettiemandolino non si sfonda da nessuna parte.
Così la nostra Stefani si è ribattezzata Lady Gaga: un omaggio al glam, così dice lei, capace anche di competere con Divine e tutto l'immaginario sweet transvestite della New York degli anni '70, Lou Reed, Bowie.
Da icona a icona: Lady Gaga è stata capace di inventare non solo un personaggio, ma una vera e propria acting perfomer di uno spettacolo creato ad hoc per il pubblico in cui il corpo e le azioni sono continuamente una messa in mostra.
Lady Gaga quindi come iper-icona: un'icona di stile che rimanda ad altri stili, che è continuamente riferimento ad altro, che richiama e schiaccia l'occhiolino alle icone del passato, riuscendo a condensare in sé gli ultimi 30 anni di moda, costume, spettacolo.
Non conosco la musica della Germanotta, mi sono avvicinata a lei grazie a Bad Romance, canzone che gira sul mio iPod da più di un mese con piacere, il solito elettro-pop-dance che tanto va per la maggiore negli ultimi tempi. Il video è il trionfo dell'eccesso, pregno di uno stile in odor di Marc Jacobs e Galliano, di una fotografia plasticosa alla Lynch e di movenze schizzoidi alla Marilyn Manson (ecco, Lady Gaga è il perfetto risultato di un morphing tra Manson, Naomi Watts e Amy Winehouse fuori e dentro il rehab).
Ma è un video perfetto per la canzone: una vera e propria accozzaglia ed abbuffata di colori, un baillame di corpi che si contorcono ma non solo: cialtrone, enigmatico, orrorifico (l'apparizione del gatto Sphinx), trashissimo, strisciante, non-sense, smaccatamente eccessivo; la Germanotta diventa arte, si esibisce, acquista spessore, indossa abiti che sono sculture, cambia e assume nuove forme. Intorno a lei tutto è finto, tutto è arte: le ballerine si muovono come manichini, escono da bozzoli/bare, gli uomini sono petti nudi tatuati e oliati, l'orso della pelliccia, il letto che prende fuoco. Nulla è vero, nulla è reale: tutto è eccesso e forma, ogni gesto teatrale, ogni espressione ben confezionata.
Ma la ciliegina sulla torta è l'ultimo video, Telephone, insieme a Beyoncé. La collaborazione da urlo aveva fatto presagire un videoclip altrettanto al fulmicotone: ogni previsione è un gradino sotto ai 9 minuti e 32' di puro iper-cinema visibili da oggi su YouTube.
Sì, perché tutto in Telephone è iconico, un continuo rimando a qualcosa d'altro, un insieme di riferimenti culturali che formano un vero e proprio canone retro-futurista in cui gli anni '80 e '90 (ma non solo) si mescolano e vengono rielaborati secondo il gusto e le tecniche attuali.
Ecco a voi il delirio kitsch per eccellenza.




scena/1: carcere femminile, già ho strani presentimenti. Lady Gaga arriva con la sua personale tenuta da galeotta, tacchi assurdi, occhiali da sole tolti per guardare dritta in camera (è uno spettacolo, no?). Le detenute, pupe truccate pesantemente e con le cosce al vento, leccano le sbarre, o vi strusciano le tette rifatte lanciando alla Germanotta sguardi lascivi. Le carceriere, versione riveduta e corretta di Wanna Marchi all'ammmmericana, la spogliano e si scambiano battute ("I told you she didn't have a dick") sulla nostra eroina in collant a rete e scotch nero sui capezzoli, che manco Amanda Lear coi CCCP. (nb: il paragone con Vogue e Express Yourself di Madonna è quasi obbligatorio)

scena/2
: ora d'aria, donne tatuate e truccatissime sollevano pesi, circondate da energumene di 100 chili cadauna vestite da pappone o Kit di L Word. Ed ecco che entra lei, incatentata e con degli occhiali poco appariscenti (ai quali è stata applicata una 30ina di sigarette accese per un motivo che or ora mi sfugge), viene avvicinata da una ceffa molto mascolina che prima se la usma (momento fetish #1) poi se la gusta, poi le mette una mano tra le gambe. Lei imperturbabile nella sua capigliatura estrema (probabilmente è passata dal coiffeur della prigione un attimo prima dell'ora d'aria) viene richiamata perché ha ricevuto una telefonata.

scena/3
: smentita chiaramente la supposta presenza di un parrucchiere all'interno della prigione: Lady Gaga usa delle lattine di Coke a mo' di bigodini, suggerimento che, semmai fossi in situazioni d'emergenza, prenderei sicuramente in considerazione. Le detenute si menano pesantemente, scatta una vera e propria rissa che viene accolta con favore dalle altre ceffe. Hanno panem et circenses, e di che possono lamentarsi? Ci farei la firma io per stare in una prigione femminile: cibo gratis, donne, e pure una sana dose di ultraviolenza quotidiana.
Beh, la nostra Gagarin riceve 'sta chiamata. Vestita solo con un chiodo di pelle che anche nel '76 sarebbe stato scartato dalla Westwood, risponde e finalmente, a 3 minuti circa dall'inizio del video, attacca la canzone. L'effetto è esilarante. Canta, dice di non sentire la sua interlocutrice, molla la cornetta e inizia a muoversi, mentre nel frattempo la musica inizia a pompare.

scena/4
: finalmente le ballerine! Nei corridoi della prigione si danza tutte mezze ignude, aggrappate alle sbarre, con push-up brillantinosi, e il groove pompa sempre più. Tutte le danzatrici sono tatuate (una c'ha pure scritto sulle gambe: TOO HOT, troppo fica). La cosa si fa aggressiva, la Germanotta digrigna i denti e ha i collant smagliati sulle natiche, poi, grazie a un montaggio serrato, è solamente vestita dalla striscia gialla delle scene del crimine.

scena/5
: è il giorno fortunato della Gaga, qualcuno l'ha tirata fuori pagandole la cauzione. Lei, vestita stile Maria Goretti dark, si esibisce in un passo di danza alla Ginger&Fred ed esce. Pronta ad accoglierla la Pussy Wagon di reminiscenza tarantiniana (brrrrr!) guidata da......Beyoncé (aka HoneyBee).
"ti sei comportata da ragazzaccia, Gaga!", scandisce il lipstick nero della Knowles. E morsica un (?) waffle/focaccione che passa alla Gaga (momento fetish #2!), per poi partire sgommando.
Bonnie and Clyde al femminile, la risposta patinata di Bound dei fratelli Wachowski, o più semplicemente Thelma e Louise in versione trash?
In macchina il dialogo che Tarantino non ha mai osato scrivere:
Gaga: "Sicura di volerlo fare?"
Be: "Cosa intendi con 'sicura'"?
G: "Beh, sai come si dice, una volta che uccidi la mucca devi fare l'hamburger"
B: "Sai Gaga, la fiducia è come uno specchio, puoi ripararlo se rotto"
G: "Ma vedrai sempre quelle fottute crepe quando ti ci specchi"
oh-oh.

scena/6
: La Beyoncé canta, guida e intanto posa, che se fosse successo qui in Italia l'avrebbero arrestata dopo 30 secondi, ma siamo in Ammmerica e su quelle fottute strade nel deserto non ci passa mai un'anima viva tranne un coyote. Ma neanche lui: Lady Gaga ha bevuto il suo sangue per avere le labbra più rosse che mai.

scena/7: le due si sono fermate ad una tavola calda. La Bee è vestita di giallo, manca solo Alfredo e i Ferrero Rocher, cammina come nell'indimenticata Crazy in love, si siede salutando amorevolmente un ceffo che la tratta malissimo, poi vede le zizze fuori e cambia espressione, s'alza, momenti di tensione con un latinos, e la Bee ne approfitta per avvelenare der Pappon! (scenetta corredata da segnalazione fumettosa alla Batman anni '60: POISON!), versandogli nel caffé un litro di liquido bluastro. Der Pappon si risiede non prima di aver schiaffato 'na manata sulle natiche di una ben messa.

scena/8: Lady Gaga, nel frattempo assunta a tempo di record come chef della tavola calda (e vogliono farci credere che in America il tasso di disoccupazione è alto?! Ma se prendono gente senza manco un regolare colloquio né fedina penale pulita!), spadella come una dannata, sfoggiando un cappellino-inno alla sobrietà dalla forma di telephone, circondata da aiutanti truccati che scambiano baguette e sfilatini per cornette del telefono. Il montaggio ci fa vedere intanto la Bee in versione direttore del circo che ci contorce sul letto, abbastanza incacchiata.
Ma Lady G. è pronta per la lezione di cucina: "Come preparare un sandwich" (anche qui il richiamo a Tarantino di Kill Bill 2 è forte, ricordate la scena di Bill che prepara con cura il panino alla bimba?) - gli aiutanti cuochi ballano brandendo frullini, fruste, cucchiai di legno, uno spettacolino che tanto sarebbe piaciuto a Wilma De Angelis.
(nb: il trucco e la capigliatura della nostra sono un rimando palese alla Marilyn di Wahrol)

scena/9: il pranzo è servito! Tutto abbondantemente spruzzato di veleno per topi, pronto per essere portato in tavola dalla Gaga-cameriera, con un telefono come benda sull'occhio (dice qualcosa il nome Elle Driver?), il ceffo innaffia di miele tutto e s'ingozza come un'oca all'ingrasso. E perisce sotto l'occhio vitreo della nostra Lady, mentre la Bee gli dedica un bel "Sapevo che mi avresti preso tutto il miele, you selfish motherfucker!"
Montaggio che va di pari passo col tunz tunz, e sottotitoli tedeschi: EIN (che poi è EINS!), avventori che magnano, ZWEI, tossite di gente morente, DREI, morte generale.

scena/10: finisce tutto a passi di danza, costumi ammmericani a stelle e strisce (perché?), Lady Gaga che pare un misto tra Capitan America e Wonder Woman, tette e culi, froceria che balla e sgommata della Pussy Wagon.
Quando uno crede di aver visto proprio tutto, ecco che arriva il colpo di genio: abbiamo passato in rassegna Black Mamba, Batman, Wonder Woman, perché farci mancare la donna leopardata? Lady Gaga, come negli spot televisivi americani delle concessionarie d'auto usate, si muove sul cofano a ritmo di musica, sfoggiando un cappellino rubato a Madonna, a Britney Spears o ai Village People o molto semplicemente a un gerarca nazista.
Il telegiornale dà la notizia del massacro al dinner, ma la Pussy Wagon è già a mille chilometri di distanza e le nostre eroine sfoggiano abiti a metà tra la fata turchina di Pinocchio, una badessa e un burqa.
Il finale vede le nostre promettersi eterna complicità, il tutto suggellato da una stretta di mano power-lesbo. Sì, le nostre Natural Born Killers sono inseguite da un elicottero ma la storia non finisce qui....

paura paura paura!
(notare come la voce di Lady Gaga sia uguale a quella di Jenny Schecter)

aggiornato al 13/3 ore 20.10: Telephone al primo posto della classifica settimanale di Blob.

mercoledì 10 marzo 2010

La violenza e il sacro. Come sovvertire l'ordine costituito

Esiste una legge per cui se dici a un bambino di non toccare una certa cosa, lui sicuramente la toccherà. Inutile dire "no, è cacca": il pupetto, incuriosito dal suono invitante della parola, allungherà la mano verso l'oggetto del peccato causando le ire della mamma stressata.
E' logica, è matematica, è anche psicologia: tutti noi siamo diabolicamente attirati dal proibito.
Ma siamo davvero ignari del baratro oscuro e profondo in cui questa scelta scellerata, efferata, nefanda ci condurrà? Potremmo rinunziare, eppure non lo facciamo. Scegliamo il peccaminoso, la sgomentevole via della perdizione, pronte a pagare l'oscuro prezzo della vergogna.
Sì, noi sappiamo ciò che il destino beffardo ha riservato per noi: dolore. Tuttavia, cocciute come asine sarde alle pendici del Gennargentu, pestiamo i piedi e ammiriamo, un po' a mo' di icona santa, un po' come un chiodo fisso, ciò che la natura non c'ha permesso di possedere: la donna etero.

Si sa, a qualcuna piace donna. Non che tutte le lesbiche del mondo siano dei maschi mancati, no affatto. Ma il sottile piacere della sfida - del proibito, appunto - ci solletica quanto la vocetta del diavolo tentatore che ci dà consigli su che fare davanti a un bivio.
E quindi ci buttiamo in questa missione impossibile con inscoscienza, un pizzico di sfacciataggine e tanto, tanto panico.
Ci sono però dei piccoli metodi, tramandati da donna a donna proprio come i rimedi contro la tosse della nonna, piccole strategie o consigli per, come dire?, ammorbidire una giovane preda. E qui urge fare una precisazione: l'approccio d'impatto e velocizzato finalizzato alla one night stand (o sveltina per noi comuni mortali) non necessita di faticosi ammorbidimenti. In questo campo la lungimiranza degli studi applicati di Shane McCutcheon ha fatto scuola.
Esistono poi approcci tremendamente più lenti, contraddistinti da ritmi bradipici, da anelamenti (per lesbiche depresse, 'nzomma).

Innanzitutto: l'eterosessualità non è una malattia, ma è da trattare come un'incompletezza, un'incongruenza. Donne eterosessuali hanno più volte dichiarato d'essere "aperte mentalmente a 360°" (bruttissima espressione, tra l'altro), di riuscire a immaginare se stesse insieme a una donna per una questione "di testa". La messa in pratica è, ahimé, il nodo centrale, spesso (sempre!) il più difficile.
La fatica in questi casi è tutta nostra: come con la polenta, bisogna continuamente rimestare per eliminare quegli impietosi grumi che si formano. E' un processo lungo, ma non crediate sia garantito il successo.

approccio numero 1. buttiamola sul "uniamo le nostre solitudini"
E' l'approccio più disperato e garantisce risultati diametralmente opposti. Due anime sole si scontrano. Tutto il mondo crolla. Tu e lei e il vuoto. Fondono le sofferenze, il comune sentire. Complicità, intimità, tu e lei. Il passo da amica ad amante è lento, lentissimo o breve, a volte subitaneo.
Ma accade anche che tutta la solitudine accumulata sfoci in un mare di insicurezze, confusioni, incertezze, strappi e lacerazioni. Ma c'è amore, a volte, ed è totale.

approccio numero 2. buttiamola sul "siamo terribilmente simili"
Noi usiamo le stesse sigarette, ascoltiamo la stessa musica, entrambe abbandonate dallo stesso uomo in età pre-adolescenziale (e codesto accadimento ci segnò). Noi dormiamo nello stesso letto. Noi ci rubiamo le frasi a vicenda. Noi che "ma quella si sa che è una stronza" e pissipissibaubau.
Noi che sbronze roviniamo sulla moquette dell'appartamento e che non troviamo manco le chiavi di casa. Noi che ridiamo solo guardandoci negli occhi. Noi che cantiamo "tirolese" in Living on my own di Freddy Mercury.
Potremmo anche provarci.
Qui siamo pericolosamente in zona Shane McCutcheon, 'na botta e via.
Però...

approccio numero 3. buttiamola sul "tu non sai cosa ti perdi"
Tu, donna insoddisfatta, scavata da rughe che malamente nascondono anni e anni di mimica facciale da orgasmo simulato. Tu, casalinga triste maltrattata dal marito con l'alito pesante, curva a pulire il bidet con l'Ajax superficie bagno. Tu, professoressa 55enne di latino, sbeffeggiata da adolescenti prosperose, platinate, smaniose, smaliziate, dall'alto dei loro vistosi 15 anni.
Tu non sai cosa ti perdi.

approccio numero 4. buttiamola sul "non osare fare un passo indietro"
A questo punto stiamo tanto bene io e te che non ha senso tirar fuori i come ed i perchè. Cerchiamo insieme tutto il bello della vita in un momento che non scappi tra le dita. E dimmi ancora tutto quello che mi aspetto già che il tempo insiste perchè esiste il tempo che verrà. A questo punto buonanotte all'incertezza, ai problemi all'amarezza: sento il carnevale entrare in me. E sento crescere la voglia, la pazzia, l'incoscienza e l'allegria di morir d'amore insieme a te.

parapapàparapàparapapàpaparapapà....
(eter'ho detto che funziona!)


Gli approcci possono essere anche letti in senso crescente: dalla calma piatta alla tensione emotiva. Uno non esclude necessariamente l'altro.