domenica 23 ottobre 2011

La tua nave in feltro

che tengo nell'armadio
chiusa a due mandate
ebbe due movimenti,
andata e ritorno:
da camera mia
al tuo pavimento
e da quella panchina
al mio armadio.
Dal tuo cuore di piombo
al mio cuore di vetro
dal tuo cuore in stagno
al mio cuore di feltro.
Cuciture grossolane
alla nave e
al mio cuore.

sabato 22 ottobre 2011

La belle inconnue

Questa è una storia macabra. O dolcissima, dipende dai punti di vista. Una storia di morte e amore, che è proprio vero che vanno a braccetto.
Parigi, verso la fine degli anni '90 dell'Ottocento. Il cadavere di una giovane donna viene rinvenuto nella Senna; si presume che sia morta affogata, probabilmente suicida. Il rigor mortis (anche se a me piace immaginare un altro motivo) le ha dipinto sul volto un perturbante nonché staticissimo sorriso che cattura l'attenzione di un funzionario dell'obitorio parigino che, come impone la legge, espone il corpo della giovane in vetrina affinché qualcuno possa riconoscerla e poi prende un calco in gesso del viso e di quel sorriso, per poi fotografarlo e renderlo pubblico.
La storia dell'inconnue de la Seine, questo il nome che trent'anni dopo verrà dato da Ernst Benkrd nella sua raccolta di 123 maschere mortuarie, inizia a diffondersi, le fotografie del calco vanno a ruba, vengono vendute nuove produzioni di calchi da collezionare, artefatti capaci di solleticare la pruderie medio-borghese dei parigini, ma anche la ben più grezza curiosità dei villani. 
Non solo: siamo in pieno periodo art-nouveau/liberty e quel volto eburneo, quasi monnalisesco (come scriverà successivamente Albert Camus), combacia con i mezzibusti immortalati nei cammei, gioielli in ambra e onice tanto in voga alla fine dell'Ottocento. Il passo è breve e l'Inconnue diventa canone femminile. Ancor più breve è il passaggio da modello a feticcio femminino: sì, perché la pauvre si trova, malgré soi, a influenzare l'immaginario erotico dell'epoca quasi al limite della necrofilia, chiudendo così quell'ipotetico cerchio psicanalitico di pulsioni erotiche e pulsioni di morte.

Altra chiusura del cerchio: al calco dell'Inconnue si ispirarono Peter Safar e Asmund Laerdal negli anni '60 per costruire la testa del manichino da rianimazione del pronto soccorso battezzato Rescue Anne, divenendo così il viso più baciato di tutti i tempi.


Post scriptum: Gli esperti delle scienze forensi hanno poi affermato che il viso di un'affogata non sarebbe stato ritrovato in condizioni così buone. Si presume quindi che la giovane sia morta per tubercolosi o che, addirittura, il calco fosse stato preso da una modella viva. O ancora, si dice che il sorriso possa essere un prodotto dell'operazione del calco. 
Tuttavia la forza della leggenda e del mito è tale da combattere e superare ogni dato attestato scientificamente. Su quel sorriso i parigini dell'epoca fantasticarono, amando immaginare le storie più disparate: in quell'espressione si volle vedere la placida rassegnazione alla morte, l'impossibile ricerca della tranquillità terrena, o forse un ricordo felice, l'ultimo, passato davanti agli occhi dell'Inconnue prima di essere risucchiata dalle gelide acque della Senna.

mercoledì 19 ottobre 2011

Chiunque abbia un cuore buono...

....vada qui.
Ho finalmente sviscerato il mio amore per gli Smiths e i Belle&Sebastian parlando dell'artwork delle loro copertine monocromatiche e dell'inguaribile sentimento adolescenziale che pervade le loro liriche: la malinconia.

Il Padre
Il Figlio

lunedì 17 ottobre 2011

L’indicibile tristezza del catalogo IKEA® - uno




Primo passo

Il suo silenzio non ti parla?


Agosto 2011


Pochi giorni fa, durante l’ultima seduta di terapia, ho coniato un’espressione che ha fatto sorridere la mia analista. S’è da poco trasferita in un casa nuova – e quindi in uno nuovo studio, che poi al paziente deve giusto importare lo spazio in cui si svolgono quei 50 minuti settimanali di blablabla; in realtà a me piacerebbe carpire un pochetto di più della persona che mi sta davanti e che a volte fa le migliori battute acide mai sentite in vita mia (roba che se non volesse più continuare ad esercitare come psicoterapeuta le consiglierei di iniziare ad annotarle – un esempio: “mhhhhh, più che presunzione, io direi onnipotenza.” Pausa. Risatina di due secondi –  e di proporle a Woody Allen, non si sa mai che un giorno la sua verve giudaica possa essere in secca). Sì, cerco d’immaginarmi la sua vita al di là delle due poltroncine rosse e del quadretto della colomba magrittiana appeso alla parete, oltre la lampada dal design asettico e minimale. Ora che non sta più nello studio in affitto di una collega, potrò finalmente cogliere dettagli, starò attenta a ogni possibile rumore: una lavatrice che centrifuga mi farà pensare che anche lei è umana, anche lei lava i maglioni di lana col detersivo per i delicati; magari, visto che il mio orario fisso è subito dopo pranzo, sentirò il rimasuglio dell’aroma dei cannelloni con la besciamella che s’è sparata a pranzo.

Come dev’essere dura non far trapelare nulla, tenere chiuso ogni spiraglio che possa suggerire qualcosa di personale ed intimo, trincerarsi dietro un “non c’è male”, ascoltare i fattacci, i segreti, le vite degli altri. Essere neutri, posati, accomodanti anche quando magari si vorrebbe dire alla persona che si ha davanti che è una snob del cazzo. Essere degli schermi e riflettere l’altra persona come in uno specchio, mostrarle chi è, o almeno provarci. Chissà come ci si sente a fine giornata. Bisogna avere una fermezza colossale per fermarsi al punto giusto, per dosare le domande, per non buttarsi troppo nell’altro. E’ proprio il lavoro che non farei mai: come dice Joni Mitchell in A Case of You, “parte della persona amata deborda e irradia i versi delle sue canzoni”, parte di me uscirebbe fuori dal contenitore (un gran piccolo contenitore, tra l’altro; ho la rara capacità di pisciare fuori dal vaso con una frequenza imbarazzante e di non riuscire mai – MAI – a rientrare nei bordi, nei canoni, nelle regole) e strariperebbe nell’altra persona; al contrario la mia analista è a tenuta stagna, doppio strato di silicone lungo i bordi per evitare le infiltrazioni e le fuoriuscite, due passate di smalto antimuffa, comportamento acciaio inox: lei “generalmente non saluta; se il paziente la incontra per strada, ricambia”.

Non parla molto, mi lascia sproloquiare. Ogni tanto, quando si mangia le unghie, mi chiedo se mi sta ascoltando – un po’ come Antonius Block che durante la confessione chiede al suo interlocutore mi ascolti? e non sa che dall’altra parte c’è la Morte che, nonostante lo incalzi nel suo sconforto, non si sbilancia quasi mai: asciutta, fredda, un’incredibile maschera umana.

- fine prima parte -

domenica 16 ottobre 2011

Filmini a caso/2

venerdì 14 ottobre 2011

Un cincino di musica

Così, volevo dirvi ultimamente cosa sto ascoltando e fare un punto della situazione delle ultime robette sentite.
Dopo una buona sbornia dubstep di Shackleton del quale ha parlato meglio di me qualcuno che la sa lunga, mi sono adagiata sulle dolci litanie lennoniane dei Girls che sanno come far durare un climax emotivo per circa 7 minuti senza stancare mai; ho fatto ballare il mio culetto anchilosato su Thundercat che è il bassista di Flying Lotus e ha tirato fuori un bell'album di jazz/fusion/elettronica; mi sono innamorata della cantante e chitarrista dei Widowspeak con la Danelectro e le sue ballate dal sapore anni '50 uscite da un film di Lynch (hanno pure coverizzato Wicked Games, tutto torna); ho pure assaggiato Apparat e il suo post-rock da sesso post a.m.; ho tenuto alta la mia fede verde oro con la bossa nova di Sergio Mendes; ho ascoltato più volte Bon Iver prendendomi davvero male, immaginandomelo nella capanna a soffrire per la sua Emma; mi son ripresa male per il secondo disco dei Bedhead che è omonimo e ha una voce sussurata dentro le chitarre, trame bellissime, intrecci sognanti, poi, boom!, momenti epici e crescendo da lacrime che gli Explosions in the Sky hanno fatto un cut and paste mica male; e poi ho fatto grandiose biciclettate con l'ultimo dei Twin Sister che qualcuno che la sa lunga e meglio di me ha definito "musica per party noiosamente alchemici, sdraiati su sgualciti divani a sondare le umide cavità altrui"; non contenta mi sono ri-innamorata di Feist che ha ciccato un album perfetto, uno di quegli album che già dalle prime note sai che è bellissimo e sì, mantiene la promessa fino all'ultimo; e, siccome non c'è due senza tre, è spuntata St. Vincent (di cui metto questa canzone, però sceglietene una a caso dal mazzo, non vi deluderà) di cui non avevo ascoltato nulla e che m'ha fatto pensare a Bowie in gonnella tanto è brava a cucirsi addosso melodie elegantissime, barocche e pompose e leggerissime al tempo stesso; gran finale di musica volante non identificata con Hype Williams.
Ah, l'ep di James Blake lo collocherei tra le cose più dolorose mai sentite. Una canzone come Enough Thunder mi lacera. Anelamento continuo, lamenti, svisate, "we can hope for heartbreak, now".

mercoledì 12 ottobre 2011

Dura Lex Sad Lex/2

Oggi. Università. Lezione di Storia del diritto. Fine lezione. C'aveva ragione Hobbes.


da notare il finale: "il brusio era abbastanza atto a stordire".

lunedì 10 ottobre 2011

Filmini a caso/1

"C'è bisogno di creatività" - Il mondo di Michel Gondry

(Lo so, è lunghissimo.)

a M.

Prima di andare a dormire ogni scrittore di belle speranze posa la penna e dice a mente una preghierina che recita più o meno così: Per favore, dammi il tocco raffinato di Truman Capote. Oppure: prima di andare a dormire ogni regista alle prime armi, spegne la cinepresa e dice una mente una preghierina che recita più o meno così: Per favore, fammi avere il dinamismo di François Truffaut. O ancora: prima di andare a dormire ogni giovane creativo ambizioso chiude la sua moleskine e dice a mente una preghierina che recita più o meno così: Per favore, fammi diventare come Michel Gondry.



Se esistesse un dizionario della creatività (o forse esiste ma non lo conosco – eppure qualcosa di simile era stato fatto da Bruno Munari col suo seminale ed illuminante Fantasia) Michel Gondry, francese di Versailles, classe 1963, professione regista, occuperebbe un lemma in grassetto. Oppure chissà, potrebbe essere coniato un termine per delineare il suo stile e descriverlo a coloro che, futuri appassionati ed epigoni, si abbevereranno alla sua opera; gondryniano, suonerebbe così l’aggettivo, ovvero un ingegnoso intreccio di trucchi e suggestioni visive tese alla manipolazione e alla sfasatura di ciò che si vede. Geniale burattinaio, Michel Gondry si fa beffa dello spettatore proponendogli un mondo stratificato in cui la realtà (o, meglio, quello che vediamo e al quale attribuiamo un valore di verità) è costantemente sovrapposta a un altro livello di finzione e, come nelle matrioske e nelle scatole cinesi, viene narrata una storia che necessariamente racconta un’altra storia.




Necessariamente perché il fil rouge che percorre gran parte della poetica gondryniana è la metanarrazione, ossia una storia speculare a sé (come nello spettacolare videoclip di Bachelorette per Bjork o ancora nella pubblicità per la Smirnoff) poiché contiene all’interno una copia più piccola della stessa; questo concetto, costantemente ricorrente nelle sue opere, trasforma la mise en scène di Gondry in una mise en abyme, un destabilizzante effetto di abisso che non ci fa percepire i confini della creazione artistica, anzi li rende sfumati, impalpabili perciò non esprimibili a parole. Il suo lessico di immagini abbindola lo spettatore ma Gondry, a differenza del mago, sembra voler svelare il trucco dei suoi artifici visivi: è uno stile teso al camuffamento (inganno, ciò che crediamo di vedere) e alla decostruzione (svelamento del trucco), proprio come nel videoclip di Let Forever Be, brano dei Chemical Brothers, che pare riprendere i disegni geometrici e labirintici di Escher e le coreografie caleidoscopiche del regista americano Busby Berkeley.




Le influenze di Escher e di Berkeley si concentreranno poi nei videoclip Protection (per i Massive Attack) e Knives Out (per i Radiohead), entrambi caratterizzati da un unico lungo piano sequenza e da un certosino lavoro scenografico e di dettagli surreali e divertenti. Tecnicamente i videoclip di Gondry sono ricchi di metodi geniali usati con padronanza e sapienza: split screen (Sugar Water, un rompicapo visivo degno di Memento di Nolan e Fuori Orario di Scorsese, e How Are You Doing?), stop motion (Fell in Love with a Girl, Cristalline, The Hardest Button to Button); Gondry a volte gira a 6 o 8 o 12 frames per secondo invece dei normali 24, così che la riproduzione c’impiegherà un quarto/un terzo/metà del tempo reale rispetto a quella proiettata a 24 fotogrammi, ottenendo così un effetto simile alle primissime pellicole dei Lumière o ai cartoni animati (Knives Out, Human Behaviour). Grande uso, inoltre, di giochi di proporzioni (The Denial Twist), di strutture cartonate, pupazzi di peluche, scenografie fatte di lana (Walkie Talkie Man come esempio massimo che condensa tecnica sopraffina a mise en abyme), mattoncini Lego, tutti elementi che rimandano a un’idea di infanzia filtrata in maniera divertita e divertente, un enorme luna park in bilico tra sogno e realtà in cui la creatività, l’immaginazione e la fantasia sono le uniche facoltà intellettive concesse. Il tema del sogno è proprio l’altro fulcro su cui poggia la struttura creativa e poetica dell’arte gondryniana, un tema speculare alla mise en abyme (realizzato nel cinema con l’espediente di sogno del sogno) che crea un unicuum narrativo ben percepibile attraverso tutte le opere del regista francese, un corpo poetico coerente e organico in cui ogni elemento si incastra con l’altro influenzandolo. Così le pellicole come Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of a Spotless Mind) e L’arte del sogno (The Science of Sleep), il commercial per Motorola e i videoclip come Deadweight di Beck e Everlong dei Foo Fighters, diventano esperimenti per sondare gli effetti della psiche umana tra dimensioni parallele futuribili, continui rovesciamenti grotteschi, proiezioni surreali a velocità mirabolante, stimoli sensoriali e suggestioni visive che non possono che appartenere all’inconscio e che donano un senso di inaspettata circolarità (ancora una volta Escher) alla narrazione.




Circolarità e moltiplicazione sono inoltre idee applicabili in modo perfettamente aderente alla poetica di Gondry; se nel video The Hardest Button to Button degli White Stripes sono ricorrenti (decine e decine di batterie vengono moltiplicate a ritmo con la musica), in Come Into My World di Kyle Minogue ne abbiamo la realizzazione paradigmatica: il concetto stesso di circolarità diviene concreto nella scelta di ambientare il video in un mondo tondo e limitato (quasi a ricordare il film Pleasantville o molto più semplicemente un set scenografico) che non ha nulla di reale e che si arrotola su se stesso producendo degli effetti surreali e di continua, quasi infinita, moltiplicazione e modifica. È un mondo, quello in cui cammina Kyle Minogue, che avvolgendosi e prendendo direzioni narrative plurime e incidenti come il nastro di Moebius (un oggetto paradossale molto amato da Escher), denuncia la propria finzionalità.
Gondry, così facendo, opera un corto circuito narrativo che porta la storia ad un altro livello (un secondo, un terzo e così via) ribadendo l’irriducibilità del discorso artistico che si riconosce in quanto tale e conferendo all’arte uno statuto autonomo: art for art’s sake (concetto traducibile con “l’arte per l’arte”), quindi senza interpretazioni o messaggi, fini didattici o morali o supposte verità.




Si è detto: circolarità e moltiplicazione. Gli stessi concetti sono adottati da Gondry per lo scheletro di alcuni dei suoi video più geniali. Circolari come la struttura di Around The World dei Daft Punk e moltiplicati come gli elementi di Star Guitar dei Chemical Brothers, due videoclip che potrebbero essere riassunti con l’efficace formula “guarda la musica, ascolta le immagini”. Nessun regista come Gondry ha modellato la commistione tra musica e immagini in modo così sintetico, riuscendo a risultare leggero, brillante, assolutamente unico. Around the World appare come la trascrizione visuale e coreografica della canzone: ogni gruppo di ballerini danza seguendo il ritmo di un singolo strumento, i b-boys seguono le linee del basso, gli scheletri la chitarra, le ragazze in costume il sintetizzatore, i robot la voce e le mummie la drum machine; un'operazione simile è stata realizzata per Star Guitar, in cui Gondry ha fatto danzare nientepopodimeno che treni, palazzi e ponti, elementi di un panorama ripresi, ritoccati digitalmente (uno dei suoi pochi videoclip in cui l’aiuto della tecnologia è fondamentale per il risultato) e sincronizzati con tutti gli strumenti del pezzo. Più recente Open Your Heart di Mia Doi Todd, in cui i ballerini vanno a tempo con la musica e creano giochi di colore.




Il colore per Gondry è sempre stato infatti una caratteristica essenziale: i suoi video hanno un tocco cromatico tipico, quasi diventato un marchio di fabbrica, e rinviano a mondi di fiaba, d’infancy e di poesia in cui gli oggetti, naturali e non, interagiscono e tessono inedite trame narrative di puro sogno e immaginazione (qui e qui). Questo è Michel Gondry: poeta, sognatore, voyant. Perché, come scrive Bruno Munari, la fantasia, l’invenzione, la creatività pensano, l’immaginazione vede.




sabato 8 ottobre 2011

Bike Smut: bicicletta&erotismo

Ho trovato la donna della mia vita.

Reclame!, come diceva Funari

In attesa di un pezzo a cui tengo molto (in uscita lunedì), vi segnalo alcuni articolo che ho scritto recentemente per Contaminazioni Positive.
Gli ultimi argomenti sono i Lego, il visual marketing (o merchanding, erroneamente tradotto in italiano col termine "vetrinistica"), l'incontro col music supervisor Randall Poster al Milano Film Festival e con Simon Reynolds alla Fnac per parlare di Retromania; dulcis in fundo ho curato un'interessante e corposa intervista a Carlo Meo, autore del libro Il Vintage Marketing che tanto m'ha ispirato per la rubrica Il Retrormentone che ha avuto l'onore di essere segnalata qualche tempo fa dalle ragazze di Frigopop (♥).
Inoltre segnalo questo approfondimento sui Blog Awards scritto dal buon Schiaffino che ho nominato parecchie volte qui e che ora ha una rubrica fissa mensile su ContPos.

Spero vi piacciano, buona lettura!

mercoledì 5 ottobre 2011

ll RETRORMENTONE numero nove - edizione speciale

Dove eravamo rimasti? 
Dopo una piccola pausa (c'eravamo lasciati che era il 17 Settembre e c'era afa e ora, a Ottobre, il caldo non accenna a diminuire, anzi...) la caccia al tesoro musicale dimenticato continua con un'edizione speciale. Ancora non saprei dirvi in cosa è speciale, ma vi svelo che il gioiello sommerso oggetto di questo post m'è venuto in mente stamattina mentre mi facevo lo shampoo e non m'ha più mollato tutto il giorno (quando è così so che non posso far altro che scrivere).
La canzone di cui parleremo non verrà svelata fino alla fine del post: molti di voi, sicuramente più sgamati di me, la capiranno già dall'inizio (e non vale usare Google!) quando leggeranno i primi soavi versi. Sì, perché questa canzone, che ha un ritmo mid-tempo alla Attenti al Lupo e una melodia alquanto banale (tra l'altro copia sbiadita del brano di Dalla), è impreziosita da uno dei testi più trash e twee (sì, a volte vanno a braccetto) degli ultimi 20 anni. Un testo che farà scoprire a voi cari lettori la presenza di un Steven Patrick Morrissey tricolore e una capacità scrittoria (almeno in questa canzone) che non ha niente da invidiare all'originale inglese. Finalmente possiamo glorificare il Moz de noantri: Beppe Dati. Il nome non vi dice nulla? Beh, perché non è lui l'interprete del nostro retrormentone, ma l'autore del testo. Mistero, mistero e ancora mistero.
Ultimissimo indizio prima di raccontarvi le liriche (non vi menziono il ritornello sennò capite subito di cosa si tratta): fu presentata a Sanremo che avevo 7 anni e diventò un vero e proprio tormentone. Bene, le premesse ci sono tutte. 
Ma di che si parla quindi? Parto col dirvi che il testo è un possibile condensato di Girl Afraid, Some Girls are Bigger Than Others (solo per il titolo, però), Accept Yourself e The Boy With the Thorn in his Side. Si parla di adolescenza e delle annesse paturnie: la protagonista è una quindicenne che contempla sospirando come una madonnina pentita (o infilzata che dir si voglia) il suo corpo in fase di trasformazione (nel primo verso si fa riferimento all'infanzia della protagonista, quando era un'acciughina): chi a quell'età non si è sentito frustrato e ha pianto solo chiuso in bagno per la festa del suo compleanno, e vedeva solo i suoi difetti sentendosi un fagotto? Chi non si è mai sentito solo e sconfitto e non voleva mangiare più? E chi soprattutto non ha sofferto per quelle risatine dietro che sembrano pugnali (e il testo prosegue con la rima: piangi e ti si appannano gli occhiali)?
E quindi il distico elegiaco che mi porto dentro al cuore dal '92: 
cresceranno i seni
chi ti prende in giro sono dei ragazzi scemi 
...versi che Moz ha sempre avuto in punta di penna ma non ha mai avuto il coraggio di buttare giù.
Il finale, davvero banale, fa trapelare un happy ending che nulla ha di morrisseyniano: il narratore, segretamente innamorato della protagonista, le confessa che potrà sempre contare su di lui durante questi anni così delicati.

Ecco, siamo arrivati alla fine.
Qui lo dico e qui lo nego: non svelo il titolo. Se entro una settimana a partire da oggi 5 ottobre raggiungo come minimo 10 commenti colle vostre soluzioni (v'ho detto di non usare Google!), mi metterò all'opera e registrerò un video-cover di questa canzone.

lunedì 3 ottobre 2011

Dura Lex Sad Lex

Cosa non si fa per guadagnare qualche soldo in più. Si ritorna tra i banchi di scuola, ad ammirare futuri giuristi, notai, avvocati, "operatori giuridici".
Un passo indietro: ho risposto ad un annuncio di una ragazza iscritta alla facoltà di Giurisprudenza che lavorando non poteva seguire le lezioni e quindi cercava qualcuno disposto a registrargliele e mandargliele giornalmente per mail. Il fato vuole che abiti a 5 chilometri dall'Università. Il fato vuole inoltre che questi giorni siano davvero belli, e quindi mi posso spostare in bici (stabilendo giornalmente record su record: dal quarto d'ora iniziale sono arrivata solo dopo 3 giorni a 10 minuti, complice anche la mia sempre più perfezionata conoscenza degli orari del passaggio del treno e del conseguente abbassamento della barra al passaggio a livello). 
"Seguo" (sì, tra virgolette perché posso fare quello che voglio tra cui leggere e dormire) alcuni corsi del primo anno. Prima osservazione: le matricole sono dolcissime mammole in calore che emanano effluvi di feromoni: altolà il sudore! Seconda cosa: ti seguono con lo sguardo qualunque cosa tu faccia. Quando la profe inizia la lezione io vado alla cattedra e lascio il registratore. Tornando al mio posto posso chiaramente sentirmi addosso lo sguardo di 30 persone, con tanto di movimento di testa che segue ogni mio spostamento. Inquietante, né?! Inoltre: tutti mantengono i loro posti, manco fossero ancora al liceo. E all'unisono prendono appunti (cosa fa loro capire che una cosa è più importante dell'altra? Il tono della profe che marca l'accento su certi concetti??). E ancora: soavi le loro facce a metà tra l'abbandono dell'adolescenza e un primo timido affacciarsi alla vita adulta. E poi ancora gli sguardi inviperiti se alla domanda della profe un loro compagno di corso risponde bene.
Uno dei momenti migliori è stato quando una ragazza mi ha chiesto se quello che stavo leggendo era il libro di testo (no, era Retromania) e un'altra ancora mi domanda perché non firmo il foglio delle presenze.

Desolato il tono di altre che mi dicono "no, ma io già tanto che arrivo a dicembre". Gloriosissima la leva giuridica del '92.