lunedì 10 ottobre 2011

"C'è bisogno di creatività" - Il mondo di Michel Gondry

(Lo so, è lunghissimo.)

a M.

Prima di andare a dormire ogni scrittore di belle speranze posa la penna e dice a mente una preghierina che recita più o meno così: Per favore, dammi il tocco raffinato di Truman Capote. Oppure: prima di andare a dormire ogni regista alle prime armi, spegne la cinepresa e dice una mente una preghierina che recita più o meno così: Per favore, fammi avere il dinamismo di François Truffaut. O ancora: prima di andare a dormire ogni giovane creativo ambizioso chiude la sua moleskine e dice a mente una preghierina che recita più o meno così: Per favore, fammi diventare come Michel Gondry.



Se esistesse un dizionario della creatività (o forse esiste ma non lo conosco – eppure qualcosa di simile era stato fatto da Bruno Munari col suo seminale ed illuminante Fantasia) Michel Gondry, francese di Versailles, classe 1963, professione regista, occuperebbe un lemma in grassetto. Oppure chissà, potrebbe essere coniato un termine per delineare il suo stile e descriverlo a coloro che, futuri appassionati ed epigoni, si abbevereranno alla sua opera; gondryniano, suonerebbe così l’aggettivo, ovvero un ingegnoso intreccio di trucchi e suggestioni visive tese alla manipolazione e alla sfasatura di ciò che si vede. Geniale burattinaio, Michel Gondry si fa beffa dello spettatore proponendogli un mondo stratificato in cui la realtà (o, meglio, quello che vediamo e al quale attribuiamo un valore di verità) è costantemente sovrapposta a un altro livello di finzione e, come nelle matrioske e nelle scatole cinesi, viene narrata una storia che necessariamente racconta un’altra storia.




Necessariamente perché il fil rouge che percorre gran parte della poetica gondryniana è la metanarrazione, ossia una storia speculare a sé (come nello spettacolare videoclip di Bachelorette per Bjork o ancora nella pubblicità per la Smirnoff) poiché contiene all’interno una copia più piccola della stessa; questo concetto, costantemente ricorrente nelle sue opere, trasforma la mise en scène di Gondry in una mise en abyme, un destabilizzante effetto di abisso che non ci fa percepire i confini della creazione artistica, anzi li rende sfumati, impalpabili perciò non esprimibili a parole. Il suo lessico di immagini abbindola lo spettatore ma Gondry, a differenza del mago, sembra voler svelare il trucco dei suoi artifici visivi: è uno stile teso al camuffamento (inganno, ciò che crediamo di vedere) e alla decostruzione (svelamento del trucco), proprio come nel videoclip di Let Forever Be, brano dei Chemical Brothers, che pare riprendere i disegni geometrici e labirintici di Escher e le coreografie caleidoscopiche del regista americano Busby Berkeley.




Le influenze di Escher e di Berkeley si concentreranno poi nei videoclip Protection (per i Massive Attack) e Knives Out (per i Radiohead), entrambi caratterizzati da un unico lungo piano sequenza e da un certosino lavoro scenografico e di dettagli surreali e divertenti. Tecnicamente i videoclip di Gondry sono ricchi di metodi geniali usati con padronanza e sapienza: split screen (Sugar Water, un rompicapo visivo degno di Memento di Nolan e Fuori Orario di Scorsese, e How Are You Doing?), stop motion (Fell in Love with a Girl, Cristalline, The Hardest Button to Button); Gondry a volte gira a 6 o 8 o 12 frames per secondo invece dei normali 24, così che la riproduzione c’impiegherà un quarto/un terzo/metà del tempo reale rispetto a quella proiettata a 24 fotogrammi, ottenendo così un effetto simile alle primissime pellicole dei Lumière o ai cartoni animati (Knives Out, Human Behaviour). Grande uso, inoltre, di giochi di proporzioni (The Denial Twist), di strutture cartonate, pupazzi di peluche, scenografie fatte di lana (Walkie Talkie Man come esempio massimo che condensa tecnica sopraffina a mise en abyme), mattoncini Lego, tutti elementi che rimandano a un’idea di infanzia filtrata in maniera divertita e divertente, un enorme luna park in bilico tra sogno e realtà in cui la creatività, l’immaginazione e la fantasia sono le uniche facoltà intellettive concesse. Il tema del sogno è proprio l’altro fulcro su cui poggia la struttura creativa e poetica dell’arte gondryniana, un tema speculare alla mise en abyme (realizzato nel cinema con l’espediente di sogno del sogno) che crea un unicuum narrativo ben percepibile attraverso tutte le opere del regista francese, un corpo poetico coerente e organico in cui ogni elemento si incastra con l’altro influenzandolo. Così le pellicole come Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of a Spotless Mind) e L’arte del sogno (The Science of Sleep), il commercial per Motorola e i videoclip come Deadweight di Beck e Everlong dei Foo Fighters, diventano esperimenti per sondare gli effetti della psiche umana tra dimensioni parallele futuribili, continui rovesciamenti grotteschi, proiezioni surreali a velocità mirabolante, stimoli sensoriali e suggestioni visive che non possono che appartenere all’inconscio e che donano un senso di inaspettata circolarità (ancora una volta Escher) alla narrazione.




Circolarità e moltiplicazione sono inoltre idee applicabili in modo perfettamente aderente alla poetica di Gondry; se nel video The Hardest Button to Button degli White Stripes sono ricorrenti (decine e decine di batterie vengono moltiplicate a ritmo con la musica), in Come Into My World di Kyle Minogue ne abbiamo la realizzazione paradigmatica: il concetto stesso di circolarità diviene concreto nella scelta di ambientare il video in un mondo tondo e limitato (quasi a ricordare il film Pleasantville o molto più semplicemente un set scenografico) che non ha nulla di reale e che si arrotola su se stesso producendo degli effetti surreali e di continua, quasi infinita, moltiplicazione e modifica. È un mondo, quello in cui cammina Kyle Minogue, che avvolgendosi e prendendo direzioni narrative plurime e incidenti come il nastro di Moebius (un oggetto paradossale molto amato da Escher), denuncia la propria finzionalità.
Gondry, così facendo, opera un corto circuito narrativo che porta la storia ad un altro livello (un secondo, un terzo e così via) ribadendo l’irriducibilità del discorso artistico che si riconosce in quanto tale e conferendo all’arte uno statuto autonomo: art for art’s sake (concetto traducibile con “l’arte per l’arte”), quindi senza interpretazioni o messaggi, fini didattici o morali o supposte verità.




Si è detto: circolarità e moltiplicazione. Gli stessi concetti sono adottati da Gondry per lo scheletro di alcuni dei suoi video più geniali. Circolari come la struttura di Around The World dei Daft Punk e moltiplicati come gli elementi di Star Guitar dei Chemical Brothers, due videoclip che potrebbero essere riassunti con l’efficace formula “guarda la musica, ascolta le immagini”. Nessun regista come Gondry ha modellato la commistione tra musica e immagini in modo così sintetico, riuscendo a risultare leggero, brillante, assolutamente unico. Around the World appare come la trascrizione visuale e coreografica della canzone: ogni gruppo di ballerini danza seguendo il ritmo di un singolo strumento, i b-boys seguono le linee del basso, gli scheletri la chitarra, le ragazze in costume il sintetizzatore, i robot la voce e le mummie la drum machine; un'operazione simile è stata realizzata per Star Guitar, in cui Gondry ha fatto danzare nientepopodimeno che treni, palazzi e ponti, elementi di un panorama ripresi, ritoccati digitalmente (uno dei suoi pochi videoclip in cui l’aiuto della tecnologia è fondamentale per il risultato) e sincronizzati con tutti gli strumenti del pezzo. Più recente Open Your Heart di Mia Doi Todd, in cui i ballerini vanno a tempo con la musica e creano giochi di colore.




Il colore per Gondry è sempre stato infatti una caratteristica essenziale: i suoi video hanno un tocco cromatico tipico, quasi diventato un marchio di fabbrica, e rinviano a mondi di fiaba, d’infancy e di poesia in cui gli oggetti, naturali e non, interagiscono e tessono inedite trame narrative di puro sogno e immaginazione (qui e qui). Questo è Michel Gondry: poeta, sognatore, voyant. Perché, come scrive Bruno Munari, la fantasia, l’invenzione, la creatività pensano, l’immaginazione vede.




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