lunedì 15 agosto 2011

Gregory Crewdson: rappresentazione di uno scatto

La foto mi colpisce se io la tolgo dal suo solito bla-bla: tecnica, realtà, reportage, arte, ecc. Non dire niente, chiudere gli occhi, lasciare che il particolare risalga da solo alla coscienza affettiva. (Roland Barthes)

Le fotografie di Gregory Crewdson creano un senso di attesa e di inquietudine: ti aspetti che prendano vita e che da un momento all'altro succeda qualcosa come quando si è a teatro. E' un trompe d’oeil, una finzione? O sono talmente irreali da sembrare sospese nel tempo e nello spazio? Scatti studiati in ogni minimo dettaglio, rifiniti come una sceneggiatura: per realizzarli, Crewdson, classe 1963, newyorkese di Brooklyn e professore di fotografia alla Yale University, fa costruire un vero e proprio set (a volte perfino con attori conosciuti come Tilda Swinton, Julienne Moore, Philip Seymour Hoffman e Gwyneth Paltrow), una mise en scène in cui il fotografo diventa regista. Ma cosa anima le sue fotografie? Cosa c’è dietro la sua ricerca?

I suoi tableaux vivants sono figli del realismo di Hopper e del surrealismo di Lynch, celano un mistero, rinviano ad altro, nascondono un Reale lacaniano pulsante che si nasconde tra i muri delle sue location, tipiche villette di quartieri suburbani; solo fotografie?, no, dipinti di squarci di vita sottratti ad una quotidianità quasi maestosa nel suo volersi esibire. Pezzetti del quotidiano sospesi nel tempo e nello spazio, un’eternità che non si manifesta come coazione a ripetere, ma come esplosione dell'attimo, di un hic et nunc che risuona in tutta la sua forza e bellezza. Si percepisce una tensione come il momento che precede lo schianto o di qualcosa d'ineluttabile; l'ideale colonna sonora sarebbe il rumore bianco del televisore, oggetto che spesso compare nelle sue fotografie, quasi a riempire l'immensa solitudine delle vite dei personaggi. Crewsdon sceglie una casa disabitata e colma l’assenza con un pullulare di vita che, paradossalmente, tutto fa fuorché creare una presenza. Sono questi elementi che spingono lo spettatore a cercare un qualsivoglia segnale di vita, di vita vera che vada oltre la rappresentazione da imitation of life.

Le fotografie di Crewdson sono state definite “sogni ad occhi aperti”, oniriche, avvolte da un candore poetico che ben si esprime in un perfetto equilibrio di luci e colori (il blu sovrano).

Lo scrittore e poeta inglese romantico Samuel Coleridge ha coniato un’espressione che potrebbe essere applicata alla fotografia di Crewdson: “suspension of disbelief”, ossia la volontà di addentrarsi in una dimensione altra in cui è necessario, per l'appunto, sospendere il dubbio, l’incredulità momentanea e la verità razionale, per poter abbracciare una fede poetica. Dove il reale si sposa col surreale, il fantastico (fancy scriveva Coleridge nel suo saggio Poetry and Imagination) emerge da una situazione ordinaria: chi scatta la foto deve avere questa disposizione d'animo che sfocia nell’immaginazione e trasfigura un attimo banale per elevarlo a poesia. E lo spettatore, come il fotografo, si fa trascinare in un’atmosfera confusiva, ma indubbiamente affascinante, cogliendo lo scarto tra naturale e sovrannaturale. E l'attimo diventa unico, sospeso, eterno.

(Contaminazioni positive)

4 commenti:

grazia1887 ha detto...

Un articolo bellissimo!
Sono contenta di avere scoperto questo blog! :D

casadivetro ha detto...

Grazie, mi fa molto piacere.
Se clicchi sul link in fondo alla pagina ne potrai leggere altri.

salvatore ha detto...

... e, a proposito di musica, la bellissima copertina di "And Then Nothing Turned Itself Inside Out" degli Yo La Tengo è proprio opera sua...
Grande articolo per un grande artista!

casadivetro ha detto...

Sì, son partita proprio da quello spunto per scrivere il pezzo! Felice ti sia piaciuto. ;)