Parigi incanta. Ti parla sommessamente e, sorniona come un gatto, ti entra sottopelle e non se ne va più. Ti sibila all’orecchio mentre percorri il Pont de Notre Dame sulla Senna. Ti trascina in vicoli meno illuminati, chiedendoti di scoprirla.
Maestosa ed elegante, si snoda nei suoi palazzi di fine Ottocento, nelle insegne liberty di caffè dal vago sentore bohémien, nelle colonne dei musei. Alzando lo sguardo al cielo ci si sente piccoli, quasi come scrutati da mille piccoli occhi: finestre e abbaini, lucernari, soffitte. Più in su, infine, baciati dal sole, luccicano d’un bel color ardesia i tetti.
Le case di Parigi, e i tetti ancor più, colpiscono per la disposizione minuziosa, quasi come un moderno formicaio, un mosaico di camini e tegole, un labirinto di forme e colore. E’ un quadro in continuo movimento, un pullulare di rettangoli che sfalsano la vista e ingannano il fotografo. Raccontano altre storie, inedite, forse mai accadute, di pura fantasia. Odorano di zinco e di chiuso, di arte e di passione.
Questo e molto altro ancora si può trovare nel libro Tetti di Parigi, uno splendido esempio di contaminazione e fusione tra arte e poesia. I meravigliosi acquerelli e disegni, ad opera di Fabrice Moireau, si sposano con le dolci parole di Carl Norac, scrittore e poeta e ci aprono gli occhi su scorci sconosciuti di Parigi, racconti mai venuti a galla, attimi intensi, epifanie. Per la realizzazione degli acquerelli Moireau ha suonato alle porte e, novello scalatore, si è spinto "su la vetta" di case antiche ed edifici per godere di una vista esclusiva: dinnanzi a lui si sono spalancati orizzonti mai esplorati, silenziosi, preziosi.
Anche Norac, ha potuto godere di queste nuove e splendide fonti d’ispirazioni: così facendo, scivolare sulle superfici bluastre dei tetti equivale a lasciarsi trasportare da altre storie, altre voci, altre stanze, riuscire a proiettarsi al di fuori di sé per entrare in nuovi corpi, reincarnarsi in altre vite, assaporare nuovi gusti. Spalancare i tetti significa immergersi (se plonger) nudi in esistenze che non ci apparterranno mai ma che, paradossalmente, sentiamo vicine in un’unione empatica, quasi come se toccando la superficie ruvida del tetto potessimo entrare in contatto idealmente con chi ha abitato quelle case, permeando i muri di respiri e amore. Riempiamo un vuoto ostinato con le nostre storie, cerchiamo sensazioni, viviamo di percezioni.
Tetti di Parigi racconta dei colori dell’alba, della neve che si deposita sulle forme, di librerie storiche, di sottotetti abitati da pittori, poeti e musicisti. Parigi non è mai stata così vicina all’animo umano, brulicante giungla urbana di ruggine e ardesia ma anche, come direbbe il filosofo Blaise Pascal, “sensible au coeur”. Scrive Norac:
“Si guarda la vita dai tetti, non esiste più ombra. Il cielo viene a mangiarci in mano. Si guarda Parigi come in una lunga carrellata: vie aeree o incassate, filanti nel mattino come solchi bagnati o come stradine nascoste. Sapendo che sotto a questi tetti vibrano tante voci, si ha l’impressione di distinguerle tutte malgrado il brusio ronzante. In fondo allo sguardo balenano un panorama, un riflesso luminoso, un’onda di pura bellezza che subito ci evocano delle immagini. E, all’improvviso, Parigi si impone in tutta la sua magia, a un’altezza diversa”.
Tetti di Parigi.
Acquerelli di Fabrice Moireau - Testi di Carl Norac, edizioni L’Ippocampo, Milano, 2010