venerdì 30 ottobre 2009

Ho una scrittura poco femminile

Me l'ha detto Tommaso Pincio, prima dell'intervista.

Non è la solita intervista noiosa e barbosa, ma un viaggio musicale; è stato uno dei momenti più intensi della mia vita.

E mò vi metto i podcast, chiaramente senza brani, per i diritti di autore.

Parte 1 e Parte 2

mercoledì 28 ottobre 2009

Enne

Ci siamo detti cercami come un ago in un pagliaio
volevi dirmi trova il mio volto tra le dita
eppure è rimasto il tuo sapore tra le labbra
anche se non ti ho mai nemmeno sfiorato.

Ci siam detti recuperiamo i soldi poi scappiamo
è come sussurrarsi ad alta voce il proprio nome
tu sei la matematica che mai entra nel cervello
potessi darti solo una frazione del mio cuore.

[Sempre i soldi
sempre i soliti
non cambiano mai
cambiassero sempre
dipende da me
ma non è colpa mia
ridessi colle lacrime
invece piango a stento.]

Pierrot le fou si è fatto una corona di tritolo
poi l'ha indossata come il più semplice degli scherzi
non sono morto stupido come uno scapigliato
son morto di veleno per i topi tra i denti.

Ci siamo detti adieu tu con la mano mi guardavi
ed inquadravi palmo a palmo la mia dipartita
lo stupido non spiega come è nata la ferita
che gli staccò dal collo la testa col sorriso.

domenica 25 ottobre 2009

Di non solo musica vive la donna...

L'anno scorso, in radio, tenevo un programma che s'intitolava Non Solo Musica. Blateravo per un'ora di testi, commentandoli pure, del contesto, dell'autore.
Sì, i testi sono importanti, però ci sono certi dischi che non hanno una-parola-una e mi scuotono allo stesso modo. Questi album appartengono alla categoria della "musica estatica ": sono dischi interamente o per la maggior parte strumentali che hanno vari scopi.
1. fare da colonna sonora a film noir, documentari di geyser islandesi, inserire un vago commento musicale a scene stranamente poco perturbanti di incomprensibili cortometraggi alla Lynch.
2. creare atmosfera (v. sopra) in un bar particolarmente intellettualoide di un quartiere con pretese artistiche di una delle seguenti città: Copenhagen, Roma, Parigi, Barcellona.
3. accompagnare due corpi che sussultano, sudano e si scoprono verso l'irraggiungibile meta dell'orgasmo.

Perché a volte le parole non servono per niente, anzi, sono un ostacolo: quante volte mi è capitato di cantare Elvis, di fare il controcanto a Thom Yorke, di battere il tempo sul collo dell'altra persona cercando di tenere il ritmo della batteria che introduceva Here She Comes Now dei Velvet Undergroung o Logorrea dei Verdena?
Mi sono fatta odiare.

Con certi dischi tutto questo non accade.

Da 18 anni esiste un'etichetta che si affibbia a certa musica strumentale suonata da musicisti provenienti, il più delle volte, da scene musicali alternative, hard-core, indie, noise: il post-rock.
Il post-rock è essenzialmente una variante del concetto di colonna sonora: solo suoni, a volte mugolii in lingue non conosciute ai più, o parole bisbigliate, violini e schitarrate desolate, sonate per piano, pura emozione ben abbinabile a immagini, a sensazioni, a fotografie, a flash mentali.
Per me questa musica è perfetta per il terzo scopo.
Ecco una veloce compendio.

Partiamo dalle dirette esperienze.

Ocean Songs - Dirty Three. La ballata del vecchio marinaio trova una perfetta colonna sonora. Disco di una bellezza rara, apparentemente semplicissimo nelle strutture. Il violino....cosa non è?

() - Sigur Ros. Quando parlavo di mugolii incomprensibili in lingue inventate mi riferivo a loro. Sinceramente gli preferisco il disco precedente, ma questo è così magico...

Souvlaki - Slowdive. Qui il cantato c'è, ma manco si sente, quindi che importa? Il disco è un capolavoro del genere shoegaze (non distante, come periodo e attitudine, dal post-rock). Da portare sull'isola deserta. L'apertura di When the Sun Hits è da consegnare ai posteri, agli alieni, a chi un giorno colonizzerà questo mondo.

Felt Mountain - Goldfrapp. Lynch, una testa di cervo, una pazza in montagna, una voce che pare uno strumento, orchestrazioni anni '60 da spy-story. Un disco che ti spinge contro il muro, che ti porta altrove, per attimi post-coitali.

Spiderland - Slint. Pietra di paragone del post-rock. Perfetto, 6 tracce. Ascoltate Washer, vi prego, commuovetevi.


Sulla fiducia, per corpi sudati futuri:

Laughing Stock - Talk Talk. Ah, uno dei miei dischi preferiti. I 20 secondi di ronzio che precedono la pennellata chitarristica del primo pezzo sono pura libidine.

piccola parentesi non post-rock:

Dummy
- Portishead. Musica da sesso lesbico Lato A. Disperato e alienante, urlo uterino. Alla Jenny Schecter.

Mezzanine - Massive Attack. Musica da sesso lesbico Lato B. Teardrop, tanto per intenderci. A volte morboso, claustrofobico e sotterraneo.

fine parentesi

They Shoot, We Score - Yo la Tengo. Recentemente scoperto, merita perché diversissimo dai due sopraccitati. Qui è tutto molto più morbido, accogliente, ti scalda, ti accompagna.

Sto vagliando anche i Rachel's, che è quasi musica classica.


Si accettano suggerimenti.

L'amore farà pure 14, ma la paura continua a fare 90.

venerdì 23 ottobre 2009

Radio o Lady ga-ga?

Dopo aver dichiarato in radio che "mi prendo le mie personalità"* per aver detto che Ratzinger ha tatuata una svastica (non si sa dove!), aspetto la mia punizione, mi cospargo il capo di cenere e guardo X-factor.
Perché Sofia perde sangue, perché Sofia piange, incompresa pure dalla Mori, perché Sofia si stava rifacendo gli occhi con Cristiana e Cristiana è uscita e Sofia ora è triste!
Perché Sofia viene salvata al ballottaggio: stranamente, da quando hanno pensato per lei un look più lesbo, il pubblico pare graziarla.
Perché Sofia non c'ha un filo di voce eppure interpreta.
Perché Sofia parla come la mia ex, in modo mascolino.
Perché Sofia una volta era così:


e ora pare secca come una foglia morta.
Ma le foglie morte, come diceva Prévert, cadono a mucchi, come i ricordi e i rimpianti, e il vento del nord le porta via nella fredda notte dell'oblio. Vedi: non ho dimenticato la canzone che mi cantavi. È una canzone che ci somiglia. Tu mi amavi, io ti amavo.
Oh, faccio indigestione del mio passato!


* non ricordo cosa mi hanno risposto, ma era una bella battuta.

domenica 18 ottobre 2009

I'm coming out!

...so you better get the party started.
Ah Sofiiiiiiiiii!

lunedì 5 ottobre 2009

Il teorema di Ozpetek

Mie care compagne,

ritorno amara più che mai per parlarvi di un caposaldo della mia personale controcultura.
Vi avevo lasciate quasi un mese fa col primo post del piccolo manifesto programmatico in cui abbozzavo in una meravigliosa cornice finto bohemien un'analisi di ciò che può entrare di diritto in un'estetica delle lesbiche depresse (che le lesbiche depresse abbiano o meno un'estetica è una questione da discutere in separata sede, ma d'indubbio interesse teorico).
Or incominciano le dolenti note, ossia: qual'è il modo più doloroso per manifestare il proprio disagio interiore che non sia l'autolesionismo, il sesso bondage o il finto tentativo di suicidio?
La risposta c'è. Ferzan Ozpetek. E qui mi sovviene la felice battuta del Nanni Moretti: "Continuiamo così, facciamoci del male".
Non basta essere lesbiche depresse (e quindi, come disse la mia professoressa al liceo, "Sturm und Drang: complesse, profonde e cariche di tumulti interiori") per essere giù, si possono raggiungere livelli sempre più bassi, attaccati a una flebo o una bottiglia di vodka al peperoncino, davanti a una (qualsiasi) pellicola del nostro turco de Rrroma.

Piccolo aneddoto: l'anno scorso seguivo un corso di linguistica semitica (non chiedetemi il perché, me l'avevano consigliato) e tra un concetto fondamentale della cultura araba e l'altro, il nostro caro professore (anche lui vestito male, a supporto della tesi illustrata in un altro post), tirò fuori Damasco, città in cui è presente uno storico bagno turco (in arabo hammam).
Per rendere la lezione più interessante, decise di buttarla su un argomento abbastanza masticato da noi ciofani: il cinema. Il nesso era ovviamente il film di Ozpetek Il bagno turco - qualcuno l'ha visto? E chi l'aveva visto se non la sottoscritta? Il profe, ringalluzzito da un lampo di vita, chiese agli altri se conoscevano il regista. Silenzio e nebbia. (il livello medio delle mie compagne di corso è James Blunt, Muccino, Twilight...Ozpetek era davvero troppo).
Il povero profe, che vide in me evidentemente l'unica conoscitrice del mondo ozpetekiano, mi guardò con estrema speranza. Iniziai così la mia Wiki: non solo gli elencai quelli che avevo visto (tutti, quasi) ma anche gli attori e l'anno di uscita. Entusiasta arrivò alla domanda finale: "e che ne pensa?"
No, non potevo fare come Fantozzi dopo la proiezione del capolavoro di Ejzenštejn, e mi limitai a un secco: "Sono un po' tutti uguali". Lui ammise che sì, in effetti la trama era sempre quella, con qualche minima variazione sul tema, ma rispose prontamente: "sì, ma quella è la loro forza".

Dopo qualche mese mi riguardai Saturno Contro, non solo per rimirare Ambra Angiolini che pippa come un'indemoniata, neanche per avere rigurgiti etero (beh, a volte tornano) contemplando Argentero. No. Volevo stare male, toccare il fondo, volevo provare un senso mistico della tragedia, dell'umanità, volevo essere in contatto diretto con Ferzan.
Ferzan, parlami, dimmi, perché? Perché questo scialbo realismo? Perché questa martoriata visione dell'amore? Questa sfiducia/fiducia nei rapporti? Questi tempi morti?
Ferzan, perché non parli?

Ma Ferzan quella volta mi parlò.
Riuscii a toccare il fondo della mia presunta depressione. E capii, aprii gli occhi.
Trovai quei film toccanti, logici, eccezionalmente intimi e ordinari. Colsi uno schema.
Eccolo: il teorema di Ozpetek:

"Prendi un personaggio (uomo o donna non importa) sull'orlo di una crisi di nervi. Fagli perdere ogni certezza. Rivoltalo come un calzino. Immergilo in una realtà nuova e sconvolgente. Fallo cambiare. Risultato? Amore per la vita pieno d'energia rinnovata o tristezza a palate e abisso".

Spiegazione logica del teorema: ciò che coinvolge di più è, oltre alla recitazione vibrante dei suoi attori (probabilmente è un mago e li mette a loro agio), proprio questa sensazione di continuità tra una pellicola e l'altra: sensazione sicuramente data dalla scelta di volti ricorrenti (Accorsi, la Buy in primis e l'attrice turca che c'è sempre) come pure dai personaggi che interpretano.

C'è sempre un malato, sempre un capo-famiglia, sempre un "folle" inteso nel senso medievale del termine, e sempre un personaggio rotondo, che muta dall'inizio alla fine. Proprio questo personaggio (la Buy nelle Fate Ignoranti, il giovane scrittore in Saturno Contro, la Mezzogiorno nella Finestra...), inizialmente esterno alla famiglia, alla comunità, o a una nuova realtà, viene assorbito da essa fino a esserne non solo parte, ma elemento essenziale. Credo sia indispensabile l'entrata di quel personaggio nel film: è il nostro sguardo, lo sguardo dello spettatore intimorito da una nuova realtà, pian piano condotto all'interno di essa fino ad amalgamarsi. E la mescolanza di questo nuovo elemento con la nuova realtà rende possibile un finale corale, a volte colmo di speranza e di crescita, a volte amaro.


Uscire incolumi da un film di Ozpetek si può, quindi, basta applicare il teorema, care fate ignoranti.
Poi dimenticate tutto e correte a guardare Almodovar.

domenica 4 ottobre 2009

Chiudere gli occhi nel terribile frastuono del nulla

L'anno scorso, fine agosto, ero impatanata tra gli scaffali della biblioteca della mia città, sezione lett. francese o di lingua francofona.
Cercavo un qualcosa ma non sapevo bene cosa: il mio sguardo si spostava veloce, indugiando su titoli più o meno conosciuti. Balzac, Camus, Celine. Cocteau.
Mi capita tra le mani, quasi cadendo, un libretto: I ragazzi terribili. Me ne aveva parlato un anno prima un mio amico, descrivendomelo come uno dei libri più vivi che avesse mai letto. Pure la copertina giocava un certo ruolo, come le illustrazioni al suo interno, di Cocteau stesso: 3 visi quasi stilizzati e sovrapposti, di profilo. Perfetto, è mio.
M'immergo. La scrittura è vibrante, plastica, colpisce allo stomaco ed è paradossalmente partorita da un autore distaccato e complice . Quella storia è una ferita aperta. Solo alla fine del libro leggo che Cocteau ha scritto il libretto in 17 giorni, durante il periodo di disintossicazione dall'oppio. E quindi capisco.Lucido e coinvolto, il suo fantasma si percepisce in filigrana. Si respira un'atmosfera di morte, come una sconfitta universale, un clima morboso che ti incolla alle pagine fino al climax degno di una tragedia greca. Perché I ragazzi terribili è una tragedia il cui epilogo è intuibile già dalle prime pagine.
Un malessere strisciante, sottile, che si attacca alla carne, che porta fino a un punto di non ritorno serpeggia non solo nel libro, tra i protagonisti, avvolgendoli come la neve, ma raggiunge anche il lettore. Il tutto senza descrizioni psicologiche, senza fornire alcun alibi, con uno stile secco, a volte asettico, rassegnato, ma vivo, pulsante, quasi a celare un reale lacaniano, un vuoto perturbante, sfuggente, irrazionale, l'abisso della morte.

Un anno fa scrissi:

"Truffaut diceva in Jules e Jim: "La felicità si racconta male a parole". (che poi erano parole di Roché)
Cocteau, in questo brevissimo romanzo allucinato, la felicità la vede da lontano, ovattata da un cieco malessere, da un'ambiguità di fondo.
E tutto finisce come era iniziato, come in un incubo nato dall'oppio.

In 3 non si può mai essere felici."

(tra parentesi: si veda The Dreamers e si noti la "terribile" somiglianza)

venerdì 2 ottobre 2009

E che Dio l'aiuti!


Ma non v'ho ancora detto quanto amo i Belle and Sebastian?
Troppo.
Il cantante e autore dei testi, Stuart Murdoch, ha avuto un'idea grandiosa: un musical tutto al femminile dallo stampo maledettamente retrò. Insomma, ha precettato 3 cantantesse (dalle voci interessantissime, a mio parere) e ha iniziato con i suoi Belle and S. a suonare, registrare, provare, riprovare e ancora provare. La cosa buffa è che il musical deve essere ancora girato: la colonna sonora è uscita a Giugno e le riprese inizieranno l'anno prossimo.
Facile intuire la storia: a partire dal titolo (God help the girl), dalla necessità di avere delle cantanti donne, dal sound così anni '50 e dai testi, tutto richiama alle tensioni di un'adolescente divisa tra la scuola, il seminario e la musica, le prime cotte, i desideri.
Uh, una rebel without a cause?

Mannò, siamo in terra d'Albione, miei cari, e tutto, sia nei testi che nelle intenzioni, verrà smussato da un'ironia tipicamente british, tra il serio e il faceto.
Non vedo l'ora che esca il musical.

Nel frattempo, se siete curiose di sentire qualcosa di stucchevolmente perfetto (eh sì, è raro trovare un cd suonato e cantato in maniera così curata e che diverta tra uno svolazzamento di archi e un dispiego di armonie orecchiabili ma mai banali), cliccate sull'immagine sopra.
Vi dovrebbe portare a un link. Il resto lo potete immaginare voi.

Viola di mare, l'X factor di Sofia e delle pallavoliste

Violette fresche aulentissime,

avevo notato anch'io questa pellicola; incuriosita andrò a vederla per vari motivi.

1. adoro la Sicilia. L'unico ragazzo della mia vita è di origini sicule e ricordo con piacere una bella vacanza (tra l'altro l'ultima che abbia fatto) in provincia di Ragusa, a Modica, in compagnia di un amico in piena fase di turbe sessuali. [Nello stesso istante in qualche altra spiaggia...] il mio bello trascorreva una vacanza greca, classiche avventure da zingaro felice con i suoi amici lupacchiotti inseparabili, dormite in spiaggia e pranzi improvvisati con confezioni scadute di wurstel. Avevo 19 anni ed ero davvero innamorata.

ma soprattutto 2. La Valeria Solarino mi ricorda terribilmente la ragazza con cui il mio bello mi beccò, ciuca io e ubriaca persa lei, alla festa di mia cugina. La Valeria Solarino appartiene alla schiera degli esseri innegabilmente superiori, per bellezza e per eleganza, ma non solo: ella ha recitato con quella meraviglia di essere maschile che è Filippo Timi che non solo mi ricorda vagamente il mio bello ma è stupendamente dolce/impacciato/occhioni bovini. Mamma mia, che chiccherie eterosessuali mi stanno uscendo dalla bocca?!


Ma veniamo al dunque e torniamo a toni un po' più lesbo-turbo. Un'ode alla grazia innaturale delle pallavoliste, loro sì che hanno l'X-factor. E non sto qui a dirvi perché.
Dirotto la vostra attenzione su un cartone animato che noi tutte conosciamo: Mila e Shiro. Applicando la famosissima teoria queer ho individuato la lella della squadra: guarda guarda in campo c'è una nuova giocatrice.........
Vi do 10 secondi.



Sì, vabbé, era Yoghina, scontata?!
Invece le pallavoliste che mi avete segnalato sono tutt'altro che yoghinesche, sono stupendamente insospettabili! Solamente collocandole nel contesto pallavolistico potrei dare una connotazione ambigua, scovando quel certo non-so-che. Uso il condizionale perché non sono certissima della loro parrocchia, anche se....

Sempre più sicura sono, invece, della parrocchia di Sofia di X-factor: mamma mia, ha un modo di parlare, di muoversi, di cantare che è palesemente de parte.
Ma cara, te lo si legge negli occhi, che aspetti a manifestarti all'intero universo mondo??! Parli in maniera strascicata un po' rauca un po' maschietto 17enne, un po' shane, un po' I-don't-belong-here, t'adoro.
Suvvia, Sofia, t'aspetto a Bergamo per strimpellare le canzoni di Jeff Buckley. Strimpellare, ho detto.

Da leggere sui Massimo Volume

Avevamo entrambe perso, io e te.

Tu, trincerata dietro un muro che tu stessa avevi innalzato.

Io, tesa in inutili atti d’amore che risultavano come un’eco, avevo perso il motivo e il fine.

Se mi muovevo è perché credevo bastasse l’atto senza origine né fine, sciolto da ogni filo.

Ma tu mi modificavi e tenevi in ordine date, arrivi, dettagli, come se oltre quella palizzata ci fosse un notaio che si appunta ogni rigo.

Che fosse d’acciaio o una roccia poco cambiava: non c’era più nulla di nascosto al di là di quella parete.


Abbiamo preso anche la più piccola tasca, creando il vuoto; più nulla conteneva nulla, al di fuori di noi. Non c’era spazio, angolo, luogo che potesse nascondere il minimo oggetto.

Il tuo modo di vendicarti è secco. Non fai trapelare la minima emozione, eppure hai una strana luce negli occhi come se finalmente ti fossi fatta giustizia.

Una delle espressioni più abusate dalla nostra società pop – uccisa brutalmente dalla sua stessa realizzazione.


Per non avere più sogni nel cassetto abbiamo bruciato tutti i mobili – un falò che sembrava toccasse il cielo; noi, distanti ma anche attratte dal fuoco, e tu, con la tua nuova luce splendente in fondo agli occhi, noi abbiamo trovato un perché, una spinta a quello che stavamo facendo, a quello che guardavamo. Anche lo scopo appariva limpido come mai lo era stato. E tu, valicata la barriera che ti separava dal resto dell’universo, non sembravi più la stessa, non più fissata con i particolari e i minuti, ma preda, vittima dell’immenso vuoto che stavamo creando.

Stavamo uccidendo i condizionali, le ipotesi, le supposizioni e le fantasie e tu parevi parecchio divertita. Forse stavamo anche tagliando le gambe al nostro futuro…?

“Significa distruggere ciò che eravamo e ciò che vorremmo essere”…uccidere il futuro nel passato e il passato nel futuro, i rimpianti e i rancori, e i sogni nel cassetto.

“Vuol dire assaporare questo attimo qui” – il presente.

Per non avere più sogni nel cassetto abbiamo bruciato tutti i mobili, ed era questo il nostro più grande sogno nel cassetto.