mercoledì 5 gennaio 2011

Good Old Germany

Voglio fare un giochetto.
Avete presente gli schemi enigmistici? Quegli schemi, cioé, che legano delle parole o frasi tra loro combinandole? Un esempio che tutti conoscono è l'anagramma, che mescola le lettere di una parola per formarne un'altra di senso compiuto.
A me son sempre piaciute le zeppe o aggiunte, ossia quando s'aggiungevano lettere o sillabe ad una parola e così si avevano geminazioni di varianti.
Ma ancora di più adoravo fare i cambi che prevedevano salti da una parola a un'altra modificando una lettera (consonante o vocale) passando così da un polo (o antipodo/testa) all'altro (o antipodo/coda).

Mi chiedo: se al posto di una parola ci fosse un'idea e attraverso piccole modifiche concettuali si arrivasse al polo opposto? Ecco, vorrei fare la stessa cosa con la musica, fondendo enigmistica alla famosa teoria dei sei gradi di separazione.
Ok, iniziamo.
Da "Neu!" dobbiamo arrivare a "The Horrors".

1. Neu!-->Kraftwerk.
Embé, facile facile la facciamo.
Tutto parte da qui. Siamo in Germania agli inizi degli anni '70: la culla del kraut rock.
Ebbene, kraut rock, come quasi tutte le categorie o generi musicali, è un termine ombrello. In sé, quindi, non esprime proprio nulla, piuttosto comprende un variegato sottobosco musicale accomunato dalla matrice sperimentale che mescola psichedelia, elettronica alla Stockhausen e alla Klaus Schulze, improvvisazioni free-jazz e avantgarde. All'interno un nugolo di nomi: Neu!, Faust e Can su tutti, ma anche i primi Kraftwerk, quelli di Autobahn per intenderci, un album il cui ascolto vale più di mille parole e descrizioni.


2. Kraftwerk--> Giorgio Moroder.
Proprio di Autobahn, che esce nel 1974, pare fare una scorpacciata il buon Giorgio Moroder, italianissimo di Ortisei, che, all'epoca, in Germania bazzica da qualche anno. Folgorato sulla via del synth e del vocoder, pubblica nel '75 Einzelganger, disco che sintetizza le lunghe suite cosmiche kraftwerkiane cristallizandole in una forma più pop.
Moroder in seguito avrebbe sporcato l'elettronica kraut con ritmi funk partorendo dischi come From Here to Eternity e diventando così il padrino della disco music. Il suo stile è un marchio di fabbrica, la sua influenza sterminata: Daft Punk, Air e Justice (ma anche Memory Tapes e Neon Indian) gli saranno eternamente grati.


3. Giorgio Moroder--> New Order
Il passo dai Kraftwerk ai New Order appare breve. Autobahn e Trans Europe Express hanno, nel giro di pochissimo tempo, non solo mietuto vittime illustri (il Bowie di Low, l'Eno di Another Green World), ma hanno soprattutto avuto una forte, fortissima ascendenza sul rock post '77. La rapidissima rise and fall, vertiginosa, furiosa e viscerale, del punk porta a una parcellizzazione di stili che veranno compresi sotto le etichette di new wave e di post-punk. Interpreti maggiori di quest'ondata musciale, che fonde la lezione krautrock a minimalismo elettronico fino ad arrivare alla disco music e ai ritmi funk/dub giamaicani, sono i PIL di quel pazzo di Jhonny Rotten, i Wire, i Talking Heads, i Gang of Four e ovviamente i Joy Division.
Che lo spirito tedesco aleggiasse già sui quattro di Manchester appare chiaro sin dal primo album, Disorder (1979), in cui le ritmiche quasi industrial di batteria e basso (che con le sue linee armoniche, nel post-punk, sostituirà la chitarra e diverrà strumento principe) si sposano con la voce asetticamente sofferta di Ian Curtis, producendo un effetto straniante di brechtiana memoria.
Closer, dell'anno successivo, non fa che rincarare la dose aprendosi maggiormente ai synth e alle tastiere. E poi il buio.
Un nuovo ordine appare all'orizzonte. Power, Corruption and Lies del 1983 è il manifesto di quel nuovo ordine: algida elettronica, ritmi marziali, synth che aleggiano come fantasmi e ragnatele, voci che non lasciano trapelare emozioni.
Blue Monday, perfetta fusione di rufianaggine moroderiana e di robotik dance alla Kraftwerk, dà il la definitivo aprendo la strada segnata già da Gary Numan e Soft Cell, sdoganando la dark wave e ibridandola con la disco music, dando vita al multiforme filone del synth-pop.


4. New Order--> Massive Attack
Salto temporale di 7 anni. Scenari diversissimi eppure consanguinei.
Si sta forgiando, nella zona di Bristol, un suono nuovo in controtendenza rispetto alla musica techno e alla scena Madchester più alla deriva. Un suono cupo e pieno che attinge a piene mani alle radici più dub e hip hop, ma che è in linea con l'elettronica di derivazione kraut. Un suono buio, lento e corposo che risente della lezione post-punk e che pone, ancora una volta, il basso in primo piano, un basso teso a mo' di bordone che sorregge l'intelaiatura ritmica insieme alla batteria, a volte sporcata con lo scratch.
I Massive Attack. Il trip-hop.
Poi si arriva al 1998 e con lui Mezzanine. Un album nero come la pece, claustrofobico e soffocante. Un universo sotterraneo fatto di cuniculi e di incubi allucinati. Su tutti svettano brani come Man Next Door o Angel. La dark wave è riveduta, corretta e aggiornata agli stilemi trip-hop. Il risultato è più che una rivisitazione, è quasi post-modernismo musicale.


5. Massive Attack--> Portishead
Tappa obbligata. Un passaggio quasi scontato, forse.
Il trip-hop nella sua veste più elegante e sontuosa, nonché ambigua e decadente, trova nella voce di Beth Gibbons un'interprete d'eccezione. Dolorose liturgie morriconiane, paesaggi melodici come tavolozze sbiadite, zone d'ombra, velluto blu, strade notturne, armonie slabbrate, fine fotografia in bianco e nero di film francesi degli anni '60: suggestioni, ritmi lenti, attese.
Spiriti affini gli Stereolab, metà americani metà francesi, che hanno messo a punto un perfetto ed inquietante modernariato pop, arricchito di tanto in tanto di sferzate noise e kraut.
Dal 1998 al 2008. E si approda a Third, opera terza dei Portishead.
E ancora una volta fanno capolino, sempre attuali, le sonorità kraut e kosmische, impetuose nel loro abito dark in Silence, spazzolate di spirito da chansonier, fino a spingersi all'industrial e ai ritmi ossessivi di Machine Gun ed approdare alla dolcezza camaleontica di The Rip, in cui i synth, dapprima in secondo piano, esplodono in un tripudio moroderiano da qui all'eternità.


6. Portishead--> The Horrors
Come possono in un brano convergere 40 anni di musica?
Ecco la risposta.

1 commenti:

Jects ha detto...

Ricordo che quando è uscito come singolo gratuito Sea Within a Sea è stata una folgorazione per me. Come riavere il meglio del post-punk (in tutte le sue sfaccettatue) tutto insieme in un colpa solo.

Jects.