domenica 23 gennaio 2011

“You James Blake?” “Yes, I am. Do you know my poetry?”

A vederlo non gli daresti un centesimo. Con quella faccia un po' così, da biondino inglese primo della classe, probabilmente menato dai compagni più grossi durante l'intervallo, t'immagini possa solamente scrivere saggi barbosi sul Settecento.
Invece.

James Blake è la proiezione ortogonale di cosa/come suonerà Thom Yorke quando i Radiohead si saranno rotti di fare musica perché quello che avevano da dire l'avran già detto e non ci tritureranno le palle con reunion celebrative, best of, tristi ospitate televisive e album di inediti da pubblicare secondo contratto.

James Blake suona il piano, ha coverizzato Feist (Limit to your love), fa un uso spropositato di pause e di silenzi che manco Harold Pinter e mugola con una vocetta spiritata rubata ad Antony che sa tanto di negritudine. La sua musica, che verrà presto depredata dai pubblicitari (ne sono sicura), è un misto di elettronica ibrida alla Aphex Twin, collage multicolore e ritmi soffocati e in controtempo che schiacciano l'occhio a Four Tet e Flying Lotus e tanto, ma tanto dubstep coi suoi bassi killer che ti colpiscono le budella. Non solo: c'è anche una profonda intimità, un calore umano e un modo di cantare che mi ricordano Jeff Buckley.

Il punto è che a 22 anni James Blake ti butta lì come se fosse niente un pezzo come I Never Learnt to Share che mentre ascolti manco t'accorgi di quello che succede perché è davvero troppo. Quindi lo risenti e ti meravigli, non è possibile. E poi una terza volta e ti trattieni.
Cosa accade in quasi 5 minuti? Prima i Platters con l'autotune a palla, poi un inserto quasi shoegaze, poi si arriva agli esercizi di stile di Queneau, minime variazioni elettroniche, quasi jazz, sulla stessa frase con climax estatico verso i 3 minuti e annessa perdita dei sensi.
La quintessenza della mutazione genetica del dubstep ha trovato in questo brano il suo classico.


I Never Learnt to Share

L'ellepì di debutto (James Blake - s/t) uscirà tra due settimane ma già in molti blog e testate giornalistiche tira aria di hype - e le premesse che diventi uno dei dischi del 2011 ci sono tutte.
James Blake è pieno di felicissime intuizioni in bilico tra attitudine classica, soul e glitch-hop, ed è pervaso da un sentimento di desiderio, un intenso anelare a un suono distante come un miraggio, una sacra nostalgia ovattata da muri di suono ma anche da costruzioni fragili e sofferenti per solo piano e voce.
L'interessante ep Klavierwerke (pubblicato nell'autunno dello scorso anno) aveva ampiamente anticipato questo mood più tetro dimostrando un'eccellente capacità compositiva: suoni giocosi da Luna Park si incastonano con atmosfere gotiche sospese nel tempo, voci provenienti dall'oltretomba, piani trattati e inserti di puro dub.


I Only Know (What I Know Now)

Meritano un ascolto anche i brani Air&Lack Thereof (dall'ep omonimo), un perfetto esempio di elettronica funkettona da sballo, e l'ep CMYK ricco di crescendo e di aperture paurose.

Formazione classica (il ragazzo ha studiato piano e composizione in una delle più prestigiose accademie inglesi di musica), spirito dubstep, sintesi elettronica, raffinatezza pop.
Ne sentiremo parlare.

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