A-rieccolo. Sono felicissima di dare il bentornato alla mia rubrica preferita (anche perché ho solo quella) col botto. Scrive per noi Lola, a cui voglio un gran bene e davanti alla quale chino il capo come gesto di reverenza: maestra in giochi di parole&neologismi, pozzo (forse perché si veste sempre di nero) di sapere, abbracci a profusione.
Ecco il suo Retrormentone.
Pulp. Molto pulp. Pure troppo!
14 settembre 1995. Bergamo. Mi presento
in classe in tuta, sciatta, non truccata, ascella poco purificata, capelli lunghi
e di colore indefinito, prendo posto goffamente, assonnata. È il primo giorno
di scuola, in senso assoluto: la prima ora di lezione delle medie superiori. È
il mio compleanno. Questo particolare, temo, attira ulteriormente l’antipatia delle
altre 25 o 26 teenager presenti. Dai loro sguardi capisco che ho poche
probabilità di sopravvivere.
Finite le lezioni, mi dirigo verso la
stazione insieme a una mia compaesana. Ci ferma il solito venditore molesto. Ci
chiede come ci chiamiamo. “Elena”, risponde la mia compagna, sgamata, che
invece di nome fa Letizia. “Marisa!”, mi metto a improvvisare anch’io su modello
dell’amica, dimostrando peraltro poca dimestichezza con l’onomastica di fine
secolo. Ma il sotterfugio viene scoperto dall’ambulante di turno nel giro di
pochi secondi: gli basta leggere il mio vero nome sulla collanina che ho
addosso. A metà anni ’90 era di gran moda l’oggettistica anagrafica. Una fatica
per trovarla, tra file di monili con su scritto “Maria” e “Paola” e “Elena”, e
ora mi ripaga tradendomi! Capisco di avere sul serio poche probabilità di
sopravvivere.
La soluzione dell’impasse arriva di lì
a poco. Nell’autunno del 1995 compaio in IAF orribilmente bionda, in
dolcevita scuro e al collo un filo nero a racchiudere le lettere D-E-B-O-R-A-H,
con l’acca, come la marca di cosmetici. Nemmeno tanto difficile da reperire
rispetto all’altra con il mio nome vero, peraltro! L’idea mi viene dal video di
Disco 2000, dei Pulp, che racconta
una tipica storia boy meets girl, un
incontro felice in disco che si risolve in un rapporto sessuale. Dei
sottotitoli rivelano i pensieri dei personaggi. Più volte Deborah, la
protagonista, si chiede, scocciata, il motivo per cui la faccia smunta di
Jarvis Cocker sia costantemente alla TV. Il videoclip in realtà passava davvero
di continuo su videomusic e su telepiù, che dall’estate di quell’anno
trasmetteva MTV in chiaro per qualche ora al giorno. Di MTV ricordo soprattutto
Andrea Pezzi, che fine ha fatto, Andrea Pezzi?
Due questioni mi preme sottolineare. Una
è che questa canzone potrebbe essere stata scritta anche l’altro ieri. L’altra
è che si tratta di un brano ipernostalgico che si interroga su un futuro che
adesso è passato. Il primo punto è facilmente spiegabile: l’operazione sistematica
di recupero è la stessa che viene messa in atto oggi. I pulp pescavano a piene
mani dalla disco e da sonorità anni ‘60 e ‘70. Anche il look di Jarvis Cocker, che
infatti è innegabilmente un protoindie, risulta attualissimo: magrezza
impressionante, aspetto da fantino mancato, capigliatura rubata al coiffeur di
Paul McCartney, occhiali di una grandezza spropositata rispetto al viso (anche
se nel video non li indossa), financo gravi problemi posturali. L’altro nodo cruciale,
invece, è piuttosto complesso, ma potrebbe essere così riassunto: futuro nel
passato, would + infinito.
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A sinistra la postura di Jarvis Cocker. A destra un indie.
14 settembre 2000. Milano, statale. Primo
giorno di università. Fully grown, sort of. Anfibi, capello nero corvino
cotonato, trucco pesante, rossetto sbavato, I wear black on the outside ‘cause
black is how I feel on the inside. Ciononostante
passo gli esami. In ogni dove si fa un gran parlare di un nuovo programma TV, Il grande Fratello. Io, che ho appena
letto Orwell, mi immagino che quei poverini dei concorrenti saranno messi in
una casa che sa di cavolfiore e verrà loro proibito di esprimersi con i più
crudeli espedienti e un po’ mi dispiace. Penso spesso agli amici di infanzia, a
Letizia, che adesso tanto sgamata non è più, che non è mai andata
all’università e ora ha un figlio. L’ha chiamato Nicolas, il figlio, ho sempre sospettato
fosse un omaggio a Sarkozy. Anche a Deborah, penso spesso, a come il 2000 del
1995 alla fine sia diverso dal 2000 del 2000. Ma soprattutto ricordo Andrea
Pezzi, che fine ha fatto, Andrea Pezzi?
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i fotomontaggi sono ad opera dell'autrice.