martedì 1 novembre 2011

il RETRORMENTONE non muore mai (manco il giorno dei morti). Numero 10 e via.

A-rieccolo. Sono felicissima di dare il bentornato alla mia rubrica preferita (anche perché ho solo quella) col botto. Scrive per noi Lola, a cui voglio un gran bene e davanti alla quale chino il capo come gesto di reverenza: maestra in giochi di parole&neologismi, pozzo (forse perché si veste sempre di nero) di sapere, abbracci a profusione.
Ecco il suo Retrormentone.

Pulp. Molto pulp. Pure troppo!
14 settembre 1995. Bergamo. Mi presento in classe in tuta, sciatta, non truccata, ascella poco purificata, capelli lunghi e di colore indefinito, prendo posto goffamente, assonnata. È il primo giorno di scuola, in senso assoluto: la prima ora di lezione delle medie superiori. È il mio compleanno. Questo particolare, temo, attira ulteriormente l’antipatia delle altre 25 o 26 teenager presenti. Dai loro sguardi capisco che ho poche probabilità di sopravvivere.
Finite le lezioni, mi dirigo verso la stazione insieme a una mia compaesana. Ci ferma il solito venditore molesto. Ci chiede come ci chiamiamo. “Elena”, risponde la mia compagna, sgamata, che invece di nome fa Letizia. “Marisa!”, mi metto a improvvisare anch’io su modello dell’amica, dimostrando peraltro poca dimestichezza con l’onomastica di fine secolo. Ma il sotterfugio viene scoperto dall’ambulante di turno nel giro di pochi secondi: gli basta leggere il mio vero nome sulla collanina che ho addosso. A metà anni ’90 era di gran moda l’oggettistica anagrafica. Una fatica per trovarla, tra file di monili con su scritto “Maria” e “Paola” e “Elena”, e ora mi ripaga tradendomi! Capisco di avere sul serio poche probabilità di sopravvivere.  

La soluzione dell’impasse arriva di lì a poco. Nell’autunno del 1995 compaio in IAF orribilmente bionda, in dolcevita scuro e al collo un filo nero a racchiudere le lettere D-E-B-O-R-A-H, con l’acca, come la marca di cosmetici. Nemmeno tanto difficile da reperire rispetto all’altra con il mio nome vero, peraltro! L’idea mi viene dal video di Disco 2000, dei Pulp, che racconta una tipica storia boy meets girl, un incontro felice in disco che si risolve in un rapporto sessuale. Dei sottotitoli rivelano i pensieri dei personaggi. Più volte Deborah, la protagonista, si chiede, scocciata, il motivo per cui la faccia smunta di Jarvis Cocker sia costantemente alla TV. Il videoclip in realtà passava davvero di continuo su videomusic e su telepiù, che dall’estate di quell’anno trasmetteva MTV in chiaro per qualche ora al giorno. Di MTV ricordo soprattutto Andrea Pezzi, che fine ha fatto, Andrea Pezzi?
Due questioni mi preme sottolineare. Una è che questa canzone potrebbe essere stata scritta anche l’altro ieri. L’altra è che si tratta di un brano ipernostalgico che si interroga su un futuro che adesso è passato. Il primo punto è facilmente spiegabile: l’operazione sistematica di recupero è la stessa che viene messa in atto oggi. I pulp pescavano a piene mani dalla disco e da sonorità anni ‘60 e ‘70. Anche il look di Jarvis Cocker, che infatti è innegabilmente un protoindie, risulta attualissimo: magrezza impressionante, aspetto da fantino mancato, capigliatura rubata al coiffeur di Paul McCartney, occhiali di una grandezza spropositata rispetto al viso (anche se nel video non li indossa), financo gravi problemi posturali. L’altro nodo cruciale, invece, è piuttosto complesso, ma potrebbe essere così riassunto: futuro nel passato, would + infinito.

A sinistra la postura di Jarvis Cocker. A destra un indie.
14 settembre 2000. Milano, statale. Primo giorno di università. Fully grown, sort of. Anfibi, capello nero corvino cotonato, trucco pesante, rossetto sbavato, I wear black on the outside ‘cause black is how I feel on the inside. Ciononostante passo gli esami. In ogni dove si fa un gran parlare di un nuovo programma TV, Il grande Fratello. Io, che ho appena letto Orwell, mi immagino che quei poverini dei concorrenti saranno messi in una casa che sa di cavolfiore e verrà loro proibito di esprimersi con i più crudeli espedienti e un po’ mi dispiace. Penso spesso agli amici di infanzia, a Letizia, che adesso tanto sgamata non è più, che non è mai andata all’università e ora ha un figlio. L’ha chiamato Nicolas, il figlio, ho sempre sospettato fosse un omaggio a Sarkozy. Anche a Deborah, penso spesso, a come il 2000 del 1995 alla fine sia diverso dal 2000 del 2000. Ma soprattutto ricordo Andrea Pezzi, che fine ha fatto, Andrea Pezzi?

i fotomontaggi sono ad opera dell'autrice.

0 commenti: