Tutte noi abbiamo avuto l'amica tossica, o punk, o dark, o autolesionista, o ribelle del cazzo, comunista, rasta, fattona. Quella che ha ci ha iniziato all'adolescenza facendoci ascoltare i Doors, i Nirvana e Bob Marley. Quella che chiamava i genitori per nome. Che era l'eterna assente al liceo.
Questa è la storia di L., aka Butty.
Butty l'ho conosciuta i primi giorni di liceo. Era settembre/ottobre del 1999, avevo appena compiuto 14 anni. Lei dimostrava 5 anni in più: capello lungo alla cugino It, doppie punte a go-go, effetto scopa di saggina in testa; alta molto più degli altri; classico maglione sformato di lana infeltrita, jeans coi buchi, Nike essenzialmente rovinate.
Gli occhi: svaniti da tempo immemore.
Mi avvicinai a lei ad educazione fisica, durante una partita di pallavolo. Si sa, gli esemplari di maschio 14enne (e ne avevamo ben 4 su una classe di 22 persone) non chiamano mai per nome le ragazze, per non correre il rischio di sembrare dei proto-froci effeminati. No, loro usano il cognome.
La Butty, indispettita da ciò, coniò per me un soprannome: Zilly. Tanto per rendere l'idea di quanto piacque: nessuno dei miei compagni di classe riesce tuttora a chiamarmi Vale.
Ma Zilly non era solo un soprannome. Era anche un manifesto di pensiero, prontamente stilato dalla Butty stessa. Lo slogan, partorito dopo una manifestazione di inizio ottobre in occasione della quale aizzai tutta la classe alla rivoluzione - invece di stare seduti nei banchi -, fu scritto sulla lavagna dell'aula: "Zilly for president".
Ma non ero io l'alternativa, la politica, la ribelle. Mi limitavo a proiettare e a caricare su di me tutto ciò che di alternativo e folle vedevo in lei: le canne, il culto di Buffalo Soldier, le bigiate, l'ostentare con quel perfetto mix di arroganza e vittimismo il cliché (ormai sgualcito tanto è stato masticato) del ribelle perdente trasandato, preda del malessere adolescenziale.
Per me era tutto nuovo, un mondo affascinante ai miei occhi di 14enne. Un mondo intriso del più semplicistico menefreghismo e di una calma apparente, pronta ad esplodere.
La Butty, in effetti, era sempre calma. Calma quando, in camera sua, apriva il lucchetto di un baule e tirava fuori la bottiglia di crema whisky. Tranquilla quando si rollava una canna e salutava i suoi con un "Ciao Dani, ciao Franco" mentre uscivano per l'ultimo dell'anno, lasciando così la casa a noi e altre due ragazze assolutamente folli (che, col passare degli anni, si sarebbero trasformate nella più gretta forma umana esistente: le beghine ante-litteram, ossia vecchie già a 19 anni).
Quel Capodanno fu memorabile [era il '99-'00 e tutti avevano paura del Millenium Bug. Ma ho un dubbio enorme ora, forse era il 2000-2001?]; io avevo portato 40 polpette (il gatto della Butty ancora se le sogna di notte, immagino), la Butty aveva nascosto un piccolo esercito alcoolico in camera sua. Tra fumi di canne (io non fumavo manco!) e fiumi di vodka versata sul tappeto, tornai a casa con i vestiti pregni del famoso odore dolciastro .
Nella leggenda la domanda di mamma: "Ma il papà della Butty fuma la pipa?"
Con lei vedevo i manga su Antenna3, i video sugli UFO e, ricordo come se fosse ora, Karate Kid 4 (con una giovanissima Hillary Swank a porre il primo mattone nella costruzione del perfetto androgino femminino, sviluppatosi poi con Boys Don't Cry e Million Dollar Baby).
La Butty era capace di cose grandiose: scrivere nel tema di seconda liceo un panegirico a Buffalo Soldier con annessa santificazione di Bob Marley; scappare alle 8.08 dalla finestra della classe (eravamo al primo piano) per poi entrare alla seconda ora; farmi comprare la cassetta dei Prozac+ con Acido/acida; costringermi a vedere Dawson's Creek per farle il riassunto perché lei era in camera col suo morosetto (poi Dawson's Creek mi iniziò a piacere davvero e anche a voi, non negatelo!); ma soprattutto mediare con uno spacciatore 30enne per avere un cartone. [Butty, cosa è? Un anime?].
Lei, proprio lei, che andava in giro sempre col Vicks Inalante, fu la prima a sapere di me. Io, cotta di una compagna di classe, rivelai alla Butty, con estrema insicurezza e imbarazzo (ricordo ancora la voce tremolante), che provavo un'attrazione per S..
Lei la prese benissimo, consigliandomi di non dirlo a nessuno, però.
Con la Butty sfottevo un'altra compagna di classe, solo perché arrivava dalle Valli (e quindi un'ingenua Heidi bergamasca) e perché era la più brava, chiamandola Nefertiti (c'era una palese somiglianza con la statua della regina egizia).
Nefe, in seguito, divenne la mia migliore amica di liceo e, 3 anni più tardi, una notte del luglio 2003, mi avrebbe rivelato che tutta la classe sapeva di me già dalla seconda liceo, perché la Butty aveva diffuso la lettera che scrissi a S..
Un compagno di liceo mi confessò che ne custodiva una copia nel portafoglio (la Butty aveva davvero pensato a tutto, provvedendo anche alla fotocopia della lettera). Non ci credevo. Me ne recitò uno stralcio a memoria.
Dalla terza superiore la Butty cambiò sezione. La vedevo nei corridoi, bruciatissima e fumata, a mangiare snicker; la vedevo trascinarsi il corpo, come uno zombie.
In quarta ebbe un incidente. Venne quasi messa sotto da un'anziana signora al volante.
Mi dissero che stava perdendo l'olfatto, e capii immediatamente. La incontrai davanti a un bar, qualche tempo dopo. Con voce sempre più corrosa dalla droga mi chiese se volevo della bamba.
Ora la Butty batte. Sembra un pessimo gioco di parole, ma è così.
Con i soldi ricevuti dalla vecchia al volante, la Butty si è cercata casa. Abita nel mio stesso paese, 2 minuti a piedi da casa mia. Quest'estate l'ho vista più volte andare in giro con mini abiti, cosce al vento e tette fuori, magrissima, sempre in compagnia di uomini diversi. Brutti ceffi.
Riceve in casa, 50 euro, per pagarsi la roba, si buca. Mi hanno detto.
Ah, non ho neanche spiegato perché veniva chiamata Butty. C'era un barbone, nel paese dove abitava prima, che era soprannominato "ol Butì". Dicevano che somigliasse a lei.
Questa è la storia di L., aka Butty.
Butty l'ho conosciuta i primi giorni di liceo. Era settembre/ottobre del 1999, avevo appena compiuto 14 anni. Lei dimostrava 5 anni in più: capello lungo alla cugino It, doppie punte a go-go, effetto scopa di saggina in testa; alta molto più degli altri; classico maglione sformato di lana infeltrita, jeans coi buchi, Nike essenzialmente rovinate.
Gli occhi: svaniti da tempo immemore.
Mi avvicinai a lei ad educazione fisica, durante una partita di pallavolo. Si sa, gli esemplari di maschio 14enne (e ne avevamo ben 4 su una classe di 22 persone) non chiamano mai per nome le ragazze, per non correre il rischio di sembrare dei proto-froci effeminati. No, loro usano il cognome.
La Butty, indispettita da ciò, coniò per me un soprannome: Zilly. Tanto per rendere l'idea di quanto piacque: nessuno dei miei compagni di classe riesce tuttora a chiamarmi Vale.
Ma Zilly non era solo un soprannome. Era anche un manifesto di pensiero, prontamente stilato dalla Butty stessa. Lo slogan, partorito dopo una manifestazione di inizio ottobre in occasione della quale aizzai tutta la classe alla rivoluzione - invece di stare seduti nei banchi -, fu scritto sulla lavagna dell'aula: "Zilly for president".
Ma non ero io l'alternativa, la politica, la ribelle. Mi limitavo a proiettare e a caricare su di me tutto ciò che di alternativo e folle vedevo in lei: le canne, il culto di Buffalo Soldier, le bigiate, l'ostentare con quel perfetto mix di arroganza e vittimismo il cliché (ormai sgualcito tanto è stato masticato) del ribelle perdente trasandato, preda del malessere adolescenziale.
Per me era tutto nuovo, un mondo affascinante ai miei occhi di 14enne. Un mondo intriso del più semplicistico menefreghismo e di una calma apparente, pronta ad esplodere.
La Butty, in effetti, era sempre calma. Calma quando, in camera sua, apriva il lucchetto di un baule e tirava fuori la bottiglia di crema whisky. Tranquilla quando si rollava una canna e salutava i suoi con un "Ciao Dani, ciao Franco" mentre uscivano per l'ultimo dell'anno, lasciando così la casa a noi e altre due ragazze assolutamente folli (che, col passare degli anni, si sarebbero trasformate nella più gretta forma umana esistente: le beghine ante-litteram, ossia vecchie già a 19 anni).
Quel Capodanno fu memorabile [era il '99-'00 e tutti avevano paura del Millenium Bug. Ma ho un dubbio enorme ora, forse era il 2000-2001?]; io avevo portato 40 polpette (il gatto della Butty ancora se le sogna di notte, immagino), la Butty aveva nascosto un piccolo esercito alcoolico in camera sua. Tra fumi di canne (io non fumavo manco!) e fiumi di vodka versata sul tappeto, tornai a casa con i vestiti pregni del famoso odore dolciastro .
Nella leggenda la domanda di mamma: "Ma il papà della Butty fuma la pipa?"
Con lei vedevo i manga su Antenna3, i video sugli UFO e, ricordo come se fosse ora, Karate Kid 4 (con una giovanissima Hillary Swank a porre il primo mattone nella costruzione del perfetto androgino femminino, sviluppatosi poi con Boys Don't Cry e Million Dollar Baby).
La Butty era capace di cose grandiose: scrivere nel tema di seconda liceo un panegirico a Buffalo Soldier con annessa santificazione di Bob Marley; scappare alle 8.08 dalla finestra della classe (eravamo al primo piano) per poi entrare alla seconda ora; farmi comprare la cassetta dei Prozac+ con Acido/acida; costringermi a vedere Dawson's Creek per farle il riassunto perché lei era in camera col suo morosetto (poi Dawson's Creek mi iniziò a piacere davvero e anche a voi, non negatelo!); ma soprattutto mediare con uno spacciatore 30enne per avere un cartone. [Butty, cosa è? Un anime?].
Lei, proprio lei, che andava in giro sempre col Vicks Inalante, fu la prima a sapere di me. Io, cotta di una compagna di classe, rivelai alla Butty, con estrema insicurezza e imbarazzo (ricordo ancora la voce tremolante), che provavo un'attrazione per S..
Lei la prese benissimo, consigliandomi di non dirlo a nessuno, però.
Con la Butty sfottevo un'altra compagna di classe, solo perché arrivava dalle Valli (e quindi un'ingenua Heidi bergamasca) e perché era la più brava, chiamandola Nefertiti (c'era una palese somiglianza con la statua della regina egizia).
Nefe, in seguito, divenne la mia migliore amica di liceo e, 3 anni più tardi, una notte del luglio 2003, mi avrebbe rivelato che tutta la classe sapeva di me già dalla seconda liceo, perché la Butty aveva diffuso la lettera che scrissi a S..
Un compagno di liceo mi confessò che ne custodiva una copia nel portafoglio (la Butty aveva davvero pensato a tutto, provvedendo anche alla fotocopia della lettera). Non ci credevo. Me ne recitò uno stralcio a memoria.
Dalla terza superiore la Butty cambiò sezione. La vedevo nei corridoi, bruciatissima e fumata, a mangiare snicker; la vedevo trascinarsi il corpo, come uno zombie.
In quarta ebbe un incidente. Venne quasi messa sotto da un'anziana signora al volante.
Mi dissero che stava perdendo l'olfatto, e capii immediatamente. La incontrai davanti a un bar, qualche tempo dopo. Con voce sempre più corrosa dalla droga mi chiese se volevo della bamba.
Ora la Butty batte. Sembra un pessimo gioco di parole, ma è così.
Con i soldi ricevuti dalla vecchia al volante, la Butty si è cercata casa. Abita nel mio stesso paese, 2 minuti a piedi da casa mia. Quest'estate l'ho vista più volte andare in giro con mini abiti, cosce al vento e tette fuori, magrissima, sempre in compagnia di uomini diversi. Brutti ceffi.
Riceve in casa, 50 euro, per pagarsi la roba, si buca. Mi hanno detto.
Ah, non ho neanche spiegato perché veniva chiamata Butty. C'era un barbone, nel paese dove abitava prima, che era soprannominato "ol Butì". Dicevano che somigliasse a lei.