Gennaio '10. Gli anni '00 a un tiro di schioppo.
Nulla di nuovo sul fronte occidentale: i primi timidi dischi che si affacciano sul panorama musicale di questo anno zerodieci confermano la mia teoria. Da 5 anni a questa parte, oltre all'ascesa del movimento della nuova coralità di matrice hippiefolk che porta il nome di weird folk o new alt folk o pitchfolk (ogni riferimento a siti americani che fanno salire l'hype con vagonate di stile sensazionalistico è puramente casuale), oltre al ritorno degli anni '80 in tutte le salse - nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma - con aggiunta di suoni tribali, oltre all'elettronica minimalista e emozionale che sfocia nell'ambient, abbiamo un accenno (forse una rielaborazione? ancora presto per dirlo) ai suoni anni '90.
I primi che mi hanno suggerito questa sensazione sono i Beach House.
La nouvelle renaissance del movimento shoegaze, che affonda le sue radici alla fine degli anni '80 e nei primissimi '90 nella coda sonora del noise strutturata su una melodia pop, ha trovato, in questi anni '00, riscontri notevoli. I Deerhunter su tutti hanno mischiato noise, shoegaze e psichedelia sporcando il tutto con un accenno di elettronica, andando così oltre la "rigida" etichetta shoegaze che si sposava con band come My Bloody Valentine e Slowdive. I Deerhunter, oltre ad essere osannati dalla critica e dal sito americano di cui sopra, sono riusciti a piazzare i loro album nelle liste dei migliori dischi degli anni '00. E non a torto.
I Beach House, americani come i Deerhunter - e sottolineo come molti gruppi appartenenti al revival shoegaze siano americani, dato non indifferente, ma che fa riflettere: lo shoegaze, quasi prettamente d'origine inglese, viene rielaborato oltreoceano, assurgendo così a modello, ad archetipo, quasi un classico. E tutto questo può essere applicato a qualsiasi genere musicale nato negli ultimi 30-35 anni. E quindi il processo seguirebbe questa formula:
gestazione, nascita e sviluppo in Inghilterra; adozione, adattamento e rielaborazione in America
suppergiù ogni ondata musicale ha avuto questa direzione, tranne una certa parentesi folk e noise. Tutto il resto è nato in terra d'Albione. Anche il post-rock, genere maggiormente nato e sviluppato in US e di cui ho parlato la scorsa volta, ha le sue propaggini in Inghilterra.
Dicevo, prima della parentesi: i Beach House, come i Deerhunter, sono americani e con il loro ultimo Teen Dream, uscito pochi giorni fa, stanno creando un fenomeno mediatico. Sì, avete ragione, insieme ai Vampire Weekend. Mi colpisce, però, dei Beach House, che siano i primi ad avermi fatto provare un brividino anni '90, e questa è la grande differenza coi Vampire Weekend che invece propongono un meltin' pot di ritmi, suoni e...coralità (vagamente) etnici, tornando quindi in quella stessa Africa esplorata dai Talkin' Heads, Brian Eno, i Clash (e chi più ne ha...) agli sgoccioli degli anni '70.
I Beach House secondo gli addetti ai lavori fanno dream pop. No, sono shoegaze. No, sono psych-rock. No, sono alt-noise.
I Beach House di Teen Dream sono da orgasmo, punto e basta.
Hanno melodie, hanno impatto, hanno una (una!) cantante dalla voce splendida. Quanto basta per farsi ascoltare più di una volta, e ancora e ancora e ancora. E io sento gli anni '90.
Qui la canzone che strappa le mutande, da sentire rigorosamente con le cuffie. Qui per procurarselo.
E poi abbiamo Four Tet. L'immagine all'inizio è la copertina del suo ultimo disco, uscito poco fa, uno dei più attesi del 2010. Almeno, io attendevo da parecchio il nuovo album del genietto inglese che tanto piace a Thom Yorke.
Le sue copertine sono esattamente come i suoi album: colorati. Elettronica (sì, io amo l'indietronica, genere inetichettabile ma che comprende artisti diversissimi tra loro) giocosa, quasi per bambini, prodotta da un carillon proveniente da una capsula spaziale.
Quest'album, che ho finito di ascoltare 3 minuti fa, è lievemente diverso dai precedenti (mi riferisco a Pause e Rounds): meno gioco, meno suoni strani, meno intermezzi di voci infantili, più musica da club, più atmosfera lunare, più notte gelida e post-sudata.
Un disco perfetto per fare all'amore.
p.s. Four Tet con Burial (grande nome del dubstep inglese, forse il più rappresentativo della nuova ondata) ha pubblicato nel 2009 un ep di due tracce, Moth/Wolf Club. Puro piacere.
Nulla di nuovo sul fronte occidentale: i primi timidi dischi che si affacciano sul panorama musicale di questo anno zerodieci confermano la mia teoria. Da 5 anni a questa parte, oltre all'ascesa del movimento della nuova coralità di matrice hippiefolk che porta il nome di weird folk o new alt folk o pitchfolk (ogni riferimento a siti americani che fanno salire l'hype con vagonate di stile sensazionalistico è puramente casuale), oltre al ritorno degli anni '80 in tutte le salse - nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma - con aggiunta di suoni tribali, oltre all'elettronica minimalista e emozionale che sfocia nell'ambient, abbiamo un accenno (forse una rielaborazione? ancora presto per dirlo) ai suoni anni '90.
I primi che mi hanno suggerito questa sensazione sono i Beach House.
La nouvelle renaissance del movimento shoegaze, che affonda le sue radici alla fine degli anni '80 e nei primissimi '90 nella coda sonora del noise strutturata su una melodia pop, ha trovato, in questi anni '00, riscontri notevoli. I Deerhunter su tutti hanno mischiato noise, shoegaze e psichedelia sporcando il tutto con un accenno di elettronica, andando così oltre la "rigida" etichetta shoegaze che si sposava con band come My Bloody Valentine e Slowdive. I Deerhunter, oltre ad essere osannati dalla critica e dal sito americano di cui sopra, sono riusciti a piazzare i loro album nelle liste dei migliori dischi degli anni '00. E non a torto.
I Beach House, americani come i Deerhunter - e sottolineo come molti gruppi appartenenti al revival shoegaze siano americani, dato non indifferente, ma che fa riflettere: lo shoegaze, quasi prettamente d'origine inglese, viene rielaborato oltreoceano, assurgendo così a modello, ad archetipo, quasi un classico. E tutto questo può essere applicato a qualsiasi genere musicale nato negli ultimi 30-35 anni. E quindi il processo seguirebbe questa formula:
gestazione, nascita e sviluppo in Inghilterra; adozione, adattamento e rielaborazione in America
suppergiù ogni ondata musicale ha avuto questa direzione, tranne una certa parentesi folk e noise. Tutto il resto è nato in terra d'Albione. Anche il post-rock, genere maggiormente nato e sviluppato in US e di cui ho parlato la scorsa volta, ha le sue propaggini in Inghilterra.
Dicevo, prima della parentesi: i Beach House, come i Deerhunter, sono americani e con il loro ultimo Teen Dream, uscito pochi giorni fa, stanno creando un fenomeno mediatico. Sì, avete ragione, insieme ai Vampire Weekend. Mi colpisce, però, dei Beach House, che siano i primi ad avermi fatto provare un brividino anni '90, e questa è la grande differenza coi Vampire Weekend che invece propongono un meltin' pot di ritmi, suoni e...coralità (vagamente) etnici, tornando quindi in quella stessa Africa esplorata dai Talkin' Heads, Brian Eno, i Clash (e chi più ne ha...) agli sgoccioli degli anni '70.
I Beach House secondo gli addetti ai lavori fanno dream pop. No, sono shoegaze. No, sono psych-rock. No, sono alt-noise.
I Beach House di Teen Dream sono da orgasmo, punto e basta.
Hanno melodie, hanno impatto, hanno una (una!) cantante dalla voce splendida. Quanto basta per farsi ascoltare più di una volta, e ancora e ancora e ancora. E io sento gli anni '90.
Qui la canzone che strappa le mutande, da sentire rigorosamente con le cuffie. Qui per procurarselo.
E poi abbiamo Four Tet. L'immagine all'inizio è la copertina del suo ultimo disco, uscito poco fa, uno dei più attesi del 2010. Almeno, io attendevo da parecchio il nuovo album del genietto inglese che tanto piace a Thom Yorke.
Le sue copertine sono esattamente come i suoi album: colorati. Elettronica (sì, io amo l'indietronica, genere inetichettabile ma che comprende artisti diversissimi tra loro) giocosa, quasi per bambini, prodotta da un carillon proveniente da una capsula spaziale.
Quest'album, che ho finito di ascoltare 3 minuti fa, è lievemente diverso dai precedenti (mi riferisco a Pause e Rounds): meno gioco, meno suoni strani, meno intermezzi di voci infantili, più musica da club, più atmosfera lunare, più notte gelida e post-sudata.
Un disco perfetto per fare all'amore.
p.s. Four Tet con Burial (grande nome del dubstep inglese, forse il più rappresentativo della nuova ondata) ha pubblicato nel 2009 un ep di due tracce, Moth/Wolf Club. Puro piacere.