Pausa pranzo. Non ancora integrata col gruppo di giovani cross-mediali (e la mente mi va subito lì, a quei tamarri dei Justice di Cross, chissà quando uscirà il nuovo album), mi godo la mia oretta di libertà in solitudine. Snob, direte voi. Macché, oggi voglio mangiarmi un kebab (con la b, la mia meta è il tabiottino dei pakistani all'incrocio) e non essendo la cosa più facile da fare e piacevole da guardare/mostrare (salsa che esce, carne che fa capolino, pomodori fuggiaschi), preferisco tenermi lontana da occhi indiscreti e potenzialmente schifati dal modo poco regale con cui addento il meraviglioso panino.
Ma ecco che, al tabiottino, uno dei due commercianti, mentre mi condisce il panino (poca cipolla, poco piccante) e mi mette da parte una lattina di chinotto (che m'han detto faccia anni '70 e sia retrò), mi allunga il suo cellulare d'ultimagenerazione e mi dice se riesco a impostargli la connessione internet.
Sì
schiaffino, leggi bene, l'ennesimo sconosciuto che mi attacca bottone. E mentre il meraviglioso panino si raffredda, sto a parlare con un'operatrice del 155. E naturalmente scrivo su un post-it le istruzioni per configurare la connessione. E prometto che tornerò il giorno successivo (in realtà voglio un
kebabbbagggratis) perché ormai "è un affare familiare".
p.s. il kebab era stato incartato in un doppio strato di carta d'alluminio. Ed era delizioso.
p.p.s. mentre scrivo ho accanto un ragazzo orsacchiottoso che canta Stevie Wonder con tanto di falsetto. Vorrei fargli il controcanto. La tentazione è forte. So anche il testo della canzone. Eddai.
p.p.p.s. l'entrata del palazzo dove lavoro è inquietante:
p.p.p.p.s. ricevere i complimenti dal capo non ha prezzo