martedì 16 febbraio 2010

Racconto 1/zerodieci

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(grazie Fra)


Voglio perderti e mai più ritrovarti,
ricordarti come ti ho lasciato
quando per sbaglio t’ho detto ti amo
proprio come ci si chiede scusa urtandosi.



LE NOSTRE VITE COME UN FILM


Di mattina è notoriamente una seccatura vivere, ma nonostante questo contro la noia e le occhiaie mettiamo un po’ di trucco. Copriamo imperfezioni e sfoghi, diamo una botta di colore al nostro pallido incarnato e facciamo finta di essere vivi, pronti per la grande recita. Nessuna espressione del viso deve tradirci; i sentimenti reali non possono trapelare né emergere, emarginati in fondo alla nostra gola, continuamente deglutiti ma molto spesso prossimi ad essere vomitati.
Mi preparo allo scontro, inevitabile, con le persone. Ho un rapporto strano con l’alterità, sconnesso come le mattonelle sulle quali inciampo ogni volta percorrendo le vie della mia città, sebbene le conosca come le mie tasche. So benissimo con chi ho a che fare ogni volta che m’incontro con qualcuno – mi preparo studiando l’avversario, provando ad anticipare le sue mosse, rispolverando quei colpi segreti che potrebbero rendere decisivo lo scontro. Non sono mai spontanea quando parlo, agisco, nuoto nell’aria, tuttavia succede di rado che tutto mi scivoli di mano e io esca da me stessa, e tutto sia così naturale e poetico, semplice. Ma accade così poche volte – ed è amore – che non capisco mai se sia voluto o meno. Mi metto in testa di amare quella persona oppure il fascino che mi rapisce è un fluido misterioso al quale m’arrendo?

Io conosco e non conosco gli altri. Sulla carta sono esperta, informata, ho divorato manuali di psicanalisi e sociologia. Sono capace di leggere uno sconosciuto da lontano oppure il mio vicino sull’autobus osservando un piccolo tic, una microespressione, un sospiro: m’immagino le loro vite, voglio partecipare ai loro eventi, essere presente con la mente. E lo stesso accade quando devo uscire da quel piccolo mondo che mi sono costruita – pronta ad assaporare il sapore acre della società. Il mio crapino sbuca intimidito mentre faccio di tutto per mimetizzarmi tra un viso e l’altro.
Così mi preparo allo scontro – in teoria.
Nella pratica la mia vita sociale è una gimkana di eventi sconnessi e saltuari con degli sconosciuti, ogni volta con volti nuovi. Gli incontri, infatti, non si ripetono mai: dopo il primo appuntamento non ci si rivede più, ma si assaporano le prime, ultime, uniche volte che hanno il gusto e le forme delle occasioni – più facili da riordinare nello scomparto dei ricordi.
I miei incontri transitori, passeggeri e talvolta casuali mi consentono di sembrare interessante, d’inventarmi dettagli e particolari, di avere un certo fascino che inevitabilmente sfiorisce e sfocia nella noia, nella routine degli indifferenti, nel ritmo regolare del nostro vivere. Mentre il cuore, ritmo costantemente irregolare, inciampa ma sa dove cadrà, anche lui preparato all’impatto con la terra.
Colleziono una serie di incontri in cui si condivide qualcosa di effimero o tutt’al più inesistente ma che assomiglia terribilmente a un concentrato di vita: ore e ore di entusiasmo costruito ad arte, misurato, mai fuori posto. E’ un vivere “ora e qui” perché poi in futuro troppe cose mi condizionerebbero e inventerei delle scuse stupide snaturandomi; perderei quell’unicità architettonica che fa da impalcatura alla prima volta, quella in cui mi sono preparata un copione facendo finta di non averlo, in cui ho dato vita a vite nuove, ad altre me. Un film.
Non c’è ipocrisia, perché si mente sapendo di farlo, non ci si nasconde, ma si sta al gioco. Applico alla lettera gli insegnamenti di quei tomi che ho divorato, e so che non ci sarà alcun imprevisto né sorpresa, perché le reazioni umane in cui potrei imbattermi le ho già studiate, le ho già sottolineate e ho fatto un orecchio a quella pagina. Tutto al suo posto, tutto in ordine, tutto sotto controllo. Io conosco gli altri non conoscendoli affatto. Ma cos’è la vita se non un racconto consapevole di bugie? Si percepisce sotto la superficie liscia della menzogna che c’è qualcosa di ruvido, e anche tu lo sai, te lo leggo negli occhi, e quindi si tace. Non c’è espressione sul mio viso che mi tradisce. Sto bene.
E’ questa la più lucida delle bugie che vivo sempre.

Ma succede – ed è amore, o forse lucida follia? – che io e te ci rintaniamo sotto la superficie di ogni bugia che viviamo. Stiamo bene sottocoperta, e possiamo riprodurre per n volte quell’unico momento, unico evento, unica volta. Potremmo andare avanti all'infinito e poi stenderci su un tetto. Io che parlo parole e tu che tessi disegni, i fili elettrici mossi dal vento.



Ed è perfetto accomodarsi a letto
Accoccolarsi
Cercare dosi di calore
In cambio di parole
Dette solamente apposta
Ti amo, t’ho sospeso una volta su di un filo
Ma amore mio, addio
È tutto detto
Tutto fatto
Niente affatto amati.

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