giovedì 26 novembre 2009

Sa di spirito adolescente (e puzza di bruciato)

Tutte noi abbiamo avuto l'amica tossica, o punk, o dark, o autolesionista, o ribelle del cazzo, comunista, rasta, fattona. Quella che ha ci ha iniziato all'adolescenza facendoci ascoltare i Doors, i Nirvana e Bob Marley. Quella che chiamava i genitori per nome. Che era l'eterna assente al liceo.

Questa è la storia di L., aka Butty.
Butty l'ho conosciuta i primi giorni di liceo. Era settembre/ottobre del 1999, avevo appena compiuto 14 anni. Lei dimostrava 5 anni in più: capello lungo alla cugino It, doppie punte a go-go, effetto scopa di saggina in testa; alta molto più degli altri; classico maglione sformato di lana infeltrita, jeans coi buchi, Nike essenzialmente rovinate.
Gli occhi: svaniti da tempo immemore.

Mi avvicinai a lei ad educazione fisica, durante una partita di pallavolo. Si sa, gli esemplari di maschio 14enne (e ne avevamo ben 4 su una classe di 22 persone) non chiamano mai per nome le ragazze, per non correre il rischio di sembrare dei proto-froci effeminati. No, loro usano il cognome.
La Butty, indispettita da ciò, coniò per me un soprannome: Zilly. Tanto per rendere l'idea di quanto piacque: nessuno dei miei compagni di classe riesce tuttora a chiamarmi Vale.
Ma Zilly non era solo un soprannome. Era anche un manifesto di pensiero, prontamente stilato dalla Butty stessa. Lo slogan, partorito dopo una manifestazione di inizio ottobre in occasione della quale aizzai tutta la classe alla rivoluzione - invece di stare seduti nei banchi -, fu scritto sulla lavagna dell'aula: "Zilly for president".
Ma non ero io l'alternativa, la politica, la ribelle. Mi limitavo a proiettare e a caricare su di me tutto ciò che di alternativo e folle vedevo in lei: le canne, il culto di Buffalo Soldier, le bigiate, l'ostentare con quel perfetto mix di arroganza e vittimismo il cliché (ormai sgualcito tanto è stato masticato) del ribelle perdente trasandato, preda del malessere adolescenziale.
Per me era tutto nuovo, un mondo affascinante ai miei occhi di 14enne. Un mondo intriso del più semplicistico menefreghismo e di una calma apparente, pronta ad esplodere.
La Butty, in effetti, era sempre calma. Calma quando, in camera sua, apriva il lucchetto di un baule e tirava fuori la bottiglia di crema whisky. Tranquilla quando si rollava una canna e salutava i suoi con un "Ciao Dani, ciao Franco" mentre uscivano per l'ultimo dell'anno, lasciando così la casa a noi e altre due ragazze assolutamente folli (che, col passare degli anni, si sarebbero trasformate nella più gretta forma umana esistente: le beghine ante-litteram, ossia vecchie già a 19 anni).
Quel Capodanno fu memorabile [era il '99-'00 e tutti avevano paura del Millenium Bug. Ma ho un dubbio enorme ora, forse era il 2000-2001?]; io avevo portato 40 polpette (il gatto della Butty ancora se le sogna di notte, immagino), la Butty aveva nascosto un piccolo esercito alcoolico in camera sua. Tra fumi di canne (io non fumavo manco!) e fiumi di vodka versata sul tappeto, tornai a casa con i vestiti pregni del famoso odore dolciastro .
Nella leggenda la domanda di mamma: "Ma il papà della Butty fuma la pipa?"

Con lei vedevo i manga su Antenna3, i video sugli UFO e, ricordo come se fosse ora, Karate Kid 4 (con una giovanissima Hillary Swank a porre il primo mattone nella costruzione del perfetto androgino femminino, sviluppatosi poi con Boys Don't Cry e Million Dollar Baby).
La Butty era capace di cose grandiose: scrivere nel tema di seconda liceo un panegirico a Buffalo Soldier con annessa santificazione di Bob Marley; scappare alle 8.08 dalla finestra della classe (eravamo al primo piano) per poi entrare alla seconda ora; farmi comprare la cassetta dei Prozac+ con Acido/acida; costringermi a vedere Dawson's Creek per farle il riassunto perché lei era in camera col suo morosetto (poi Dawson's Creek mi iniziò a piacere davvero e anche a voi, non negatelo!); ma soprattutto mediare con uno spacciatore 30enne per avere un cartone. [Butty, cosa è? Un anime?].

Lei, proprio lei, che andava in giro sempre col Vicks Inalante, fu la prima a sapere di me. Io, cotta di una compagna di classe, rivelai alla Butty, con estrema insicurezza e imbarazzo (ricordo ancora la voce tremolante), che provavo un'attrazione per S..
Lei la prese benissimo, consigliandomi di non dirlo a nessuno, però.

Con la Butty sfottevo un'altra compagna di classe, solo perché arrivava dalle Valli (e quindi un'ingenua Heidi bergamasca) e perché era la più brava, chiamandola Nefertiti (c'era una palese somiglianza con la statua della regina egizia).
Nefe, in seguito, divenne la mia migliore amica di liceo e, 3 anni più tardi, una notte del luglio 2003, mi avrebbe rivelato che tutta la classe sapeva di me già dalla seconda liceo, perché la Butty aveva diffuso la lettera che scrissi a S..
Un compagno di liceo mi confessò che ne custodiva una copia nel portafoglio (la Butty aveva davvero pensato a tutto, provvedendo anche alla fotocopia della lettera). Non ci credevo. Me ne recitò uno stralcio a memoria.

Dalla terza superiore la Butty cambiò sezione. La vedevo nei corridoi, bruciatissima e fumata, a mangiare snicker; la vedevo trascinarsi il corpo, come uno zombie.
In quarta ebbe un incidente. Venne quasi messa sotto da un'anziana signora al volante.
Mi dissero che stava perdendo l'olfatto, e capii immediatamente. La incontrai davanti a un bar, qualche tempo dopo. Con voce sempre più corrosa dalla droga mi chiese se volevo della bamba.

Ora la Butty batte. Sembra un pessimo gioco di parole, ma è così.
Con i soldi ricevuti dalla vecchia al volante, la Butty si è cercata casa. Abita nel mio stesso paese, 2 minuti a piedi da casa mia. Quest'estate l'ho vista più volte andare in giro con mini abiti, cosce al vento e tette fuori, magrissima, sempre in compagnia di uomini diversi. Brutti ceffi.
Riceve in casa, 50 euro, per pagarsi la roba, si buca. Mi hanno detto.

Ah, non ho neanche spiegato perché veniva chiamata Butty. C'era un barbone, nel paese dove abitava prima, che era soprannominato "ol Butì". Dicevano che somigliasse a lei.

giovedì 19 novembre 2009

Pessima mira

Una volta mi vantavo del mio radar che mi consentiva di riconoscere una lesbica a 5 metri di distanza. Le beccavo tutte, inspiegabilmente, il CICAP mi aveva perfino contattato per studiare questa mia dote innata.

Una volta.
Sto perdendo colpi, ahimé, collezionando una figuraccia dietro l'altra.

L'anno scorso, cotta cottissima dell'assistente androgina del mio professore, aspettai a fare l'esame per dirle che mi piaceva molto. Dopo essere diventata paonazza e verde (?), si mise a ridere un po' impacciata, un po' imbarazzata, un po' a disagio, dicendomi che tutti credono che lo sia mentre a lei non interessa, non sa, non vuole sapere. Non desidera nessuno.
Appartiene al gruppo delle grandi incognite che usciranno dall'armadio a 40 anni e vivranno la loro personale Woodstock cercando di recuperare il tempo perduto.
Beh, ci avevo visto male, ma fiutai che c'era qualcosa di latente in atto.
Ecco, lei è il mio sogno proibito: altissima, magrissima, sempre stanca, sempre un po' scazzata, un cervello immenso e inesplorato, borse di studio e borse sotto gli occhi, che ama gli Smiths e che porta le magliette dei Joy Division durante le lezioni. Tipo che ti amo, quasi.
Ma sei inarrivabile, my dear. E sei pure un mistero.


Non mi sembrava per niente un mistero una ragazza che sta facendo il laboratorio teatrale con me: viso da ragazzo, voce mascolina, modi di fare palesemente palesi, calcetto femminile, la classico tomboy. Era una partita facile.
Pessima mira. In un momento di debolezza le dico: "scusa se mi faccio gli affari tuoi, ma sono lesbica quanto te". Mi aspettavo uno sguardo solidale, tipo ehyanchetumaddai?, invece "no, guarda, me l'hanno detto tutti e ci sono anche abituata, ma non è così".

Speck.


La mia prossima scommessa è la regista che ci tiene il laboratorio teatrale. Classica bellezza androgina, capello corto biondo, mai un filo di trucco. Riesce a starmi bene anche in tuta. E poi suda e le vengono le pezze. Ti stimo, sorella.

giovedì 12 novembre 2009

I nostri amici gay che mi leggono suppongo ascoltino anche loro musica

e quindi accattateve 'sto gruppo camp, un po' kitsch, un po' sessy, un po' tanto "clone frocio dei Baustelle". Si chiamano Egokid.
Su rockit l'ascolto è gratuito, basta cliccare sull'immagine.



Ho gridato già al genio dopo aver visto che una canzone si chiama Arbasino, e dopo averla sentita stramazzo al suolo, preda delle convulsioni, con voglia di danzare (con la zeta dolce).
Mamma mia, fa indiechecca, fa Rayban Wayfarer neri da vista, camicia a scacchi con sotto la canotta, un po' di pelo, di pizzetto, di All star e birretta in mano (scenari suburbani gentilmente concessi dal Magnolia, Idroscalo, Milano).
Ma fa anche tenerezza e carezza ambigua che sottintende a baffo contro baffo.

Il mio immaginario dei gay si limita a questi stereotipi, lo stesso per noi lesbiche.
Ultimamente non ho molta voglia di scandagliare i meandri dell'omosessualità, perdonatemi.

il cantato alla Renato Zero (in impercettibili venature) non ha prezzo.

venerdì 6 novembre 2009

Le tante lesbiche di tanti tipi

Questo è un post di antropologia lesbica dedicato a Levi Strauss.


LE TANTE LESBICHE DI TANTI TIPI
studio applicato


In seguito ad attenta osservazione, indagini sul campo e studi comparati, mi accingo a trarre le conclusioni e a tentare di fare un po' di chiarezza e luce nello sterminato universo lesbico da me esaminato.
Suddividerò lo studio in più punti a scandire le diverse tipologie (rappresentate molto per macro gruppi e a grandi linee).

NB: l'età presa in considerazione è dai 18 ai 34 anni.

PUNTO 1:
Sono intorno a noi, in mezzo a noi

La tipologia numero 1 è facilmente riconoscibile. Etichettata anche come uoma o "maschio mancato", viene additata spesso in quanto fonte di ambiguità: è un uomo o una donna?
Il viso è da ragazzino tredicenne su corpo mediamente grasso o mediamente scheletrico; a volte piccine da non superare il metro e 60; il seno prosperoso (dalla terza in su) o completamente assente; il modo di vestire un po' sciatto, senza gusto. Non si valorizza quasi mai la propria femminilità, anzi, si tende a camuffarla, oppure si assume un modo di porsi, camminare e parlare molto maschile.
Poco dubbiosa sulla sua sessualità, tutti i conoscenti (genitori, parenti, vicini di casa) sanno di lei. Difficilmente si sarebbe potuto pensare diversamente.
Dolce, affettuosa, una solida compagna, pronta a menare per difendere la propria partner, con la quale partecipa a tutte le iniziative del più vicino circolo dell'Arcilesbica. Proprio il circolo è diventato la sua seconda famiglia: lì ha conosciuto altre ragazze come lei, divenute successivamente amiche (alcune perfino compagne). L'importanza della ghenga, della comunità e della cerchia di amicizie è fondamentale per lei: attraverso il confronto è riuscita a diventare ciò che ora è. Forte di carattere, raramente incappa in momenti di crisi.
Da sottolineare è la poca plasticità culturale e i discutibili gusti musicali. Ma non ama molto riflettere, lei, e quindi ben venga la poca profondità.
Una roccia.


PUNTO 2: Sono intorno a me, ma non parlano con me

Passiamo alla seconda tipologia. Sono le tipiche grandi incognite. Tendenzialmente molto silenziose, insicure e timide quasi fino all'eccesso, questi visetti dolci e pacatamente femminili esprimono, coi loro grandi occhi, la terribile paura di essere scoperte. Il loro comportamento, quindi, tenta, a volte, di copiare i grandi modelli di palese femminilità.
Si chiudono nel loro mondo fatto di barriere e sogni, blocchi e tachicardie, sintomi e segnali. A volte anaffettive e timorose di essere toccate, pongono freni a ogni espressione di amore. Affette da tic, da nevrosi, da immotivate paranoie, le grandi incognite si lasciano andare, rarissimamente, a discorsi da cui trapelano i dubbi che alimentano il loro stesso essere. Preferiscono stare sole, coi loro gatti, col loro lavoro, con le loro mezze risposte, trincerate dietro pile di libri, muri di vetro, alibi di ferro.
La loro è una fase di transizione, ovviamente. Si è così in attesa di sbloccarsi, di rivelarsi, di vivere in pace con se stesse. Ma abbiamo dei rari casi in cui il timore è così grande da inibire ogni slancio.
E si arriva, così, a 32 anni senza sapere cosa si vuole, perché non lo si vorrebbe, come mai non si è capaci di volerlo.
Sarebbero amanti splendide, se solo lo desiderassero.


PUNTO 3: Sono come me, ma si sentono meglio

Concludiamo questo mini-studio con l'ultima tipologia: le stronze irrangiungibili. Cresciute in famiglie e ambienti di classe, educate ai valori cattolici e alla religione laica della borghesia medio-alta, le giovani leve crescono nella bambagia dell'ACI e dell'AGESCI (ambienti che sfornano lesbiche in quantità industriale, e la uoma lo sa bene!) per poi approdare, dopo un liceo - privato o comunque di ottima reputazione -, in una grande città europea: Londra, Parigi, Stoccolma, Roma, Milano, per studiare Economia e Marketing, Scienze Politiche, Giurisprudenza, Lingue per la Comunicazione Internazionale (mai e poi mai Letterature, che è 'na roba da comunisti utopisti tristi, che non porta a nulla, che non garantisce lavoro!) in università stellari.
Il motto è: pensare in grande, pretendere il meglio, vivere il sogno cosmopolita. (perché il sogno, lo dice Briatore, bisogna viverlo col cuore!).
I genitori non sanno nulla dei loro gusti sessuali e guai se lo sapessero! Gli amici, manco loro. Il tutto viene vissuto nella più completa segretezza alla quale si alternano intensi momenti di lesbicume acuto. Disseminano indizi, alimentano dubbi, ma preferiscono rimanere nel più asettico anonimato.
Essere lesbiche è demodé? E allora giochiamo a fare le etero, qui all'happy hour, qui alla festa, qui all'after. Parliamo di design, di borsa, di musica elettronica, del gruppo indie, del film di Tarantino, dell'attore che si è finto gay, ridiamo e riempiamo il bicchiere.
Fissiamo feste, house concert, nel giro giusto, creiamo momenti unici da condividere su Facebook, facciamo foto, facciamo video, facciamo l'amore come se fosse un gioco, facciamo schifo.
Trattiamo male quella nerd, calpestiamo l'artista, demistifichiamo l'inguaribile romantica, spernacchiamo il sentimento. Ché noi siamo le detentrici del sapere, del gusto, della sicurezza, della bellezza.

lunedì 2 novembre 2009

Hiroshima mon amour

Tipo 30 gradi sottozero sotto le coperte.
Mi sto innamorando.